Inchieste e approfondimenti

Dal Ticino all'oasi. ‘Un richiamo a cui è impossibile resistere’

Samah Gayed ha lasciato tutto per stabilirsi a Siwa, nel deserto egiziano. ‘Non so perché sono qui, ma qui voglio passare il resto dei miei giorni’

In sintesi:
  • ‘Questo è un luogo fuori dal mondo, un angolo di natura incontaminata’
  • Da una vacanza con la famiglia sulla costa l'amore per una terra che ancora oggi la ospita
(foto: laRegione)
16 agosto 2023
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«Non l'ho pensato, non l'ho voluto, è successo». Così Samah Gayed, ticinese di origini egiziane, racconta l'inizio del suo viaggio verso l'oasi di Siwa. Un luogo fuori dal mondo, un angolo di natura incontaminata in mezzo al deserto abitato da secoli (si dice fin dai tempi dei Faraoni) dal popolo berbero degli Amazigh. Qui aveva sede l'antichissimo oracolo di Ammon, uno dei più famosi dell'antichità, che gli storici del tempo indicano come consultato anche da Alessandro Magno che qui ricevette la rivelazione di essere figlio di Zeus-Ammon. Un posto magico, che ha esercitato il suo richiamo anche sulla nostra interlocutrice.

«Ero in vacanza al mare con la mia famiglia sulla costa», racconta Samah, che in Ticino insegnava danze orientali. Al momento di ripartire dal luogo di vacanza per tornare ad Alessandria d'Egitto, la mia città di origine, ho detto ai miei familiari: ‘Io non torno con voi, mi sento chiamare da Siwa’. Mi hanno dato chiaramente della pazza, il che non è negativo perché vuol dire che sto facendo qualcosa di creativo e intuitivo. Certamente erano preoccupati, mi chiedevano come ci sarei arrivata, perché ci volevo andare. ‘Appena lo saprò, lo condividerò con voi’ è stata la mia risposta».

Come sei arrivata a Siwa? Non è proprio dietro l'angolo...

Il viaggio non sembrava iniziare nel migliore dei modi, però: l'ultimo bus per Siwa è appena partito, restavano solo piccoli bus insufficienti per le tante persone presenti. Davanti, c'erano 307km nel deserto, un viaggio di 4 ore. Poi, però, ho incontrato un signore che andava all'oasi, ho chiesto se poteva portarmi con sé e ha accettato. Ed è successo che a circa 30km da Siwa ho sentito il mio cuore espandersi come il deserto, una voce interiore che mi diceva ‘ben ritrovata nella tua patria in mezzo alla tua gente’. Ho sentito che era un viaggio necessario. E c’è di più: quando ho chiesto ai miei compagni di viaggio come si chiamassero fra loro, se arabi o beduini, mi hanno risposto "Amazigh". Ora, io sono cristiana copta ortodossa, e come da tradizione a 40 giorni dal battesimo ho ricevuto un tatuaggio sul polso destro: ho pensato di trasformarlo, poi ho deciso di farne semplicemente un altro sul polso sinistro... ed era proprio la bandiera del popolo amazigh!

Raccontaci i primi attimi a Siwa

L'arrivo a Siwa è un vero e proprio rituale, che oltre ad abluzioni in varie pozze comprende anche la "sepoltura", una terapia antichissima. Ti seppellisco nella sabbia bollente, d’estate nel momento più caldo del giorno, per 15-20 minuti al massimo. Dopo ti mettono in una tenda per sudare e ti danno da bere il fieno greco e stai dentro finché puoi, dopo entri nella tua stanza, continui a sudare, dormi, ti svegli, ed è possibile, come è capitato a me, vivere stati mentali alterati. Per i successivi 5-6 giorni non puoi toccare l’acqua, serve a fare uscire tutta l'umidità, i reumatismi e le malattie connesse. Poi però, è arrivato il momento di tornare in Ticino. Allora ho piantato una palma e ho sentito che avevo trovato il mio posto sulla terra ed era giusto metter là le mie radici. Un mese dopo sono tornata: il richiamo è stato così forte da essere indescrivibile. Ancora oggi non so perché sono qui ma so che non potevo non essere qui. Qui percepisci che esisti, che respiri, guardi il cielo e ti senti IL cielo. Qui ho trovato me stessa: la mia casa sta diventando un rifugio, un luogo di accoglienza, altre persone sono state qui. Sono l’unica persona che abita alla montagna sacra, un luogo costruito per la riconciliazione delle tribù che si combattevano fino a 80 anni fa: per ricordare la pace hanno costruito questo posto e una volta all’anno ho migliaia di vicini di casa, per 3-4 giorni l’anno durante la luna piena di ottobre».

Come vivi la tua nuova quotidianità a Siwa?

Ho un giardino, faccio la contadina, non l’ho deciso ma mi son ritrovata a lavorare la terra, a raccogliere datteri e olive, ho scavato il pozzo per trovare l’acqua e ho trovato l’acqua di sorgente minerale naturale. Ho coltivato il mio orto, ho la mia acqua, ho dei pannelli solari ma dovrei rinforzarli per far andare qualche elettrodomestico come il frigorifero. E poi ci sono le mosche e le zanzare, che un po’ mi torturano e si danno proprio il cambio, le mosche di giorno, le zanzare di notte. Però basta equipaggiarsi bene: vestirsi lungo, avere la zanzariera e qualche repellente naturale, anche se per le mosche è un po’ più difficile.

Luoghi lontani, culture diverse. Quali sono i tuoi rapporti con la gente del posto?

All'inizio, in quanto donna sola, non accompagnata e non della loro religione, c’è un po’ di diffidenza. Ma quando parlano con me viene meno: le persone ti percepiscono, sembra che ti leggano nel cuore e ti rispettano e anzi ti difendono. Qui mi chiamano "Doctora" perché pratico terapie, come la cristalloterapia: ci sono pozze saline, è un posto che per il clima secco e la sabbia è terapeutico. Non tutti mi pagano, almeno non come intendiamo noi in denaro: qui a Siwa, fino a poco tempo fa si basava tutto sul baratto e sullo scambio, sull'aiuto reciproco come comunità, una cosa che è ancora molto diffusa e che funziona anche in modo spontaneo e naturale, quasi sottinteso. Mi occupo dei bambini, organizzo attività ludiche: alcuni di loro non hanno mai visto uno spazzolino.

L'Egitto è un Paese povero. Come si riflette ciò a Siwa?

Qui non esiste una cultura dei rifiuti, si butta tutto per terra. Poteva avere senso una volta con i prodotti naturali, ora si buttano in terra plastica e sigarette, è un gesto che fai da una vita e quindi ti risulta automatico. La spazzatura è ovunque, non esiste il riciclaggio ma neanche la raccolta dei rifiuti, è una situazione gravissima. Sto provando a portare la cultura della Svizzera in questo senso e sono molto felice, sto sensibilizzando bambini e adulti. Sono entrata nel Rotary club per avere un aggancio più grande per poter intervenire, perché è una vera e propria piaga. Prima lavoravo con la mia associazione dal Ticino, ma senza conoscere il vero contesto né le persone. Ora sto operando sul campo e posso essere molto più incisiva.

C’è qualcosa che ti manca del Ticino e della Svizzera in generale?

Mi manca solo la situazione di pulizia, le comodità della tecnologia mi sono mancate ma ho visto che mi rammolliscono: qui ogni tanto manca qualcosa e ti devi attivare. Mi è mancato vestirmi come voglio, esprimermi più liberamente: su certe cose un po’ mi autocensuro. Ma non cambierei Siwa con niente. L’Egitto è un Paese povero ma non è miserabile: c’è una dignità, una ricchezza di umanità, mentre la povertà d’animo è terrificante più di quella materiale.

Tornerai mai a vivere in Svizzera?

Hai presente la storia di Ulisse e delle sirene, del loro canto che attira le persone, che non possono resistere e finiscono poi per rimanerne vittima? In arabo la sirena si chiama "la chiamatrice". Hanno dato questo nome a un documentario, "Siwa la chiamatrice". Siwa ha il potere di farti dimenticare la tua storia, il tuo passato, i tuoi bisogni, le tue identificazioni, chi eri. E non ti fa sentire la mancanza e dunque ti fa sentire al posto giusto, ti fa sentire pieno. Pensavo di essere l'unica a pensarlo, ma quando ho partecipato al documentario mi sono resa conto che erano tante le persone che dicevano questa cosa. Persone dall'Inghilterra, dalla Germania, dall'Italia che lasciano tutto e tutti per stabilirsi qua. Io non so se c'è qualche spirito, qualche magia che crea questo. Io sono qui, e non potevo resistere a questa chiamata. E so che è qui che io voglio morire.

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