In vista del voto

Votazione sulle armi e l’ennesimo ricatto Ue

24 aprile 2019
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È in arrivo una nuova votazione sulle armi e mi torna subito in mente il 2011, quando il popolo sovrano respinse l’iniziativa popolare “per la protezione dalla violenza perpetrata con le armi” con il 56.3% di no. In tale frangente gli Svizzeri capirono che si trattava di una strategia finalizzata, in secondo tempo, all’abolizione dell’esercito e la stessa fu nettamente respinta. Allo stesso modo fu bocciata sonoramente l’iniziativa popolare del 2013 che auspicava l’abolizione del servizio militare obbligatorio, con il 73.2%. In tali occasioni gran parte della classe politica si espresse contro le iniziative, mentre per l’oggetto in votazione il 19 maggio prossimo venturo e come ultimamente purtroppo spesso accade, complici anche i rapporti con l’UE, assistiamo ad un cambio di paradigma anche da parte di politici di alcuni partiti storici. In molti ci chiediamo il perché.

Dopo le due votazioni testé citate, nel 2016, cioè solo tre anni fa, tramite una nuova legge federale sullo scambio d’informazioni, venne introdotto il collegamento in rete di tutti i registri cantonali delle armi. Con questo regolamento, le autorità di polizia riescono a consultare simultaneamente tutti i registri cantonali come pure Armada, la piattaforma d’informazione sulle armi gestita dalla Fedpol. Sembrava che tutto fosse sotto controllo e la nostra sicurezza garantita, con buona pace del Consiglio Federale e della maggioranza del popolo sovrano, che da sempre si fregia di vivere in uno Stato ricco di libertà individuale, ed è ben consapevole di essere un popolo libero.

Ma, si sa, l’Ue, non discute le leggi, le detta. Non è nemmeno un interlocutore e, per dirla come un amico mi suggerisce, “è un avversario e come tale va affrontato”. Perché l’amministrazione di Bruxelles decide e ci pone sul piatto dei negoziati il solito pacchetto preconfezionato: “o l’è inscì o l’è inscì…”. Tutto ciò si può riassumere con un’unica parola, ricatto, e comporta evidenti e imbarazzanti ostacoli al dialogo, accompagnati oltretutto da un’inspiegabile e preoccupante remissività di principio da parte delle nostre autorità federali e anche da parte della classe politique a Berna. A noi, popolino, ci propinano così delle panacee assicurandoci che, tanto non cambia nulla. Non sarà così, cambieranno molte cose, eccome! Le prime modifiche sono già in previsione a breve e le successive sistematicamente ogni 5 anni. Se le modifiche fossero accettate, verrebbero introdotti passo dopo passo, tutti quei divieti che parzialmente già respingemmo nel 2011 (introduzione della clausola del bisogno e dell’obbligo di registrare a posteriori le armi) e andrà a finire che entro pochi anni, non resterà più nulla di un capitolo importantissimo della nostra storia: l’arma del milite a casa.

Le nostre libertà si stanno già assottigliando sempre di più, le nostre tradizioni sono spesso derise e ci fanno sembrare uno Stato nostalgico e giocherellone, soprattutto da chi propone divieti e censure. Che dire? Saremo anche nostalgici ma anche molto seri e attenti. Basti paragonare i nostri 500 anni di tradizione di tiro, di armi legali e di sicurezza nazionale – se non fosse un triste confronto, mi verrebbe quasi da ridere – con il preoccupante bailamme di Schengen, senza frontiere e con libera circolazione di armi illegali. No! Votiamo No!

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