Ticino

‘Schengen in pericolo per evitare ai tiratori un'autorizzazione’

Si accende il dibattito sulla votazione sulle armi. Rocco Cattaneo: Abbiamo negoziato bene e le nostre tradizioni sono salve

11 aprile 2019
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«In Svizzera non esiste un diritto fondamentale a possedere un’arma. E di sicuro non c’entra nulla con il diritto d’espressione». Non ci sta il consigliere nazionale Plr Rocco Cattaneo, membro della Commissione della sicurezza. Non ha gradito le esternazioni in questo senso fatte dal presidente nazionale della Comunità di tiro svizzero Luca Filippini da queste colonne il 2 aprile scorso.

Tema: la votazione del prossimo 19 maggio in cui si dovrà decidere se recepire la normativa europea sulle armi da fuoco. O meglio, se recepire le restrizioni concordate fra paesi facenti parte dell’area Schengen/Dublino, di cui il nostro paese fa parte. Toccate sarebbero le armi da fuoco semiautomatiche dotate di un caricatore ad alta capacità, che potrebbero essere ottenute da privati solo qualora gli acquirenti possano comprovare un interesse legittimo nel possederle.

«Non stiamo parlando dei fucili da caccia e nemmeno dei fucili colpo per colpo» fa notare Cattaneo, premettendo di non essere contro lo sport del tiro e contro i cacciatori («I miei nonni erano maestri tiratori, mio papà e mio fratello cacciatori»).

Va bene, ma in Svizzera non esiste un problema generalizzato di reati commessi con armi da fuoco. Non si sta facendo tanto baccano per nulla?
Non bisogna dimenticarsi però della strage del 2001 al Gran Consiglio di Zugo. Persero la vita 14 politici. Con ciò non voglio dire che questa modifica di legge riuscirà a evitare qualunque tragedia, ma per lo meno aumenterà la trasparenza sui possessori di armi particolarmente a rischio.

Si tratta pur sempre di una legge che incide sulle nostre tradizioni...
Non è vero: trattando con gli altri paesi siamo riusciti a trovare un buon compromesso, che preserva le nostre tradizioni. Semplicemente chi vorrà possedere un’arma a rischio dovrà – ogni 5 anni – dimostrare di avere un valido motivo.

Non lo dovrà però fare un centinaio di migliaia di militi, che continuerà a tenere il proprio ‘Fass’ a casa. Non è una contraddizione?
Abbiamo fatto un esercizio d’equilibrismo tra vari interessi e abbiamo salvaguardato questa particolarità elvetica evitando al contempo di dover uscire da Schengen. Perché è questo il rischio: un no il prossimo 19 maggio ci escluderebbe dall’accordo, così come da quello di Dublino. A meno che, entro novanta giorni, non si trovi una soluzione che vada bene a tutti gli altri paesi membri. Ne basta uno contrario, e siamo fuori.

Mi scusi, sembra uno spauracchio...
Chi si vuole prendere la responsabilità di sapere se davvero si troverà una soluzione condivisa? Perché se così non fosse, perderemmo i vantaggi, anche in termini di sicurezza, ottenuti con l’adesione a Schengen. E questo per evitare, a chi vuole un fucile semiautomatico, di dover compilare una richiesta d’autorizzazione.

Va bene, ma tra cinque anni è già possibile una rivalutazione della norma. Chi ci garantisce che, con una per­fetta tattica del salame, non si vada verso una restrizione maggiore?
Non mi piace fare il processo alle intenzioni. Posso dire che il popolo svizzero potrà comunque pronunciarsi, esattamente come avviene oggi.

A questo punto però anche dire che un ‘no’ porterà all’uscita da Schengen è un processo alle intenzioni...
È molto più probabile l’uscita da Schengen dopo un no il prossimo 19 maggio che un giro di vite sulle armi tra cinque anni.

Parliamo allora di efficacia: con questo cambiamento si vuole combattere i criminali, che però certo non acquistano fucili e pistole dall’armaiolo.
D’accordo, ma il mercato nero si combatte anche con lo scambio di informazioni tra Stati. Cosa oggi possibile proprio grazie al sistema informativo di Schengen.

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