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Imposta alla fonte, c'è una lacuna da colmare

(Ti-Press)

In Svizzera non sono assoggettati all’imposta alla fonte sul salario i cittadini svizzeri e gli stranieri a beneficio di un permesso di domicilio (C). Diversamente, il salario dei lavoratori frontalieri (permesso L) e di coloro che sono in possesso di un permesso di dimora (B) è assoggettato all’imposta alla fonte.

Per quanto attiene ai beneficiari dei permessi B, gli stessi sono obbligati a presentare una dichiarazione fiscale ordinaria, qualora il loro salario annuo superi i 120'000 franchi, rispettivamente vi è la facoltà di richiederla se non viene oltrepassata tale soglia. Si parla in questi casi di “tassazione ordinaria ulteriore” (Tou) obbligatoria o su richiesta. Di conseguenza, l’imposta alla fonte prelevata dal salario da parte del debitore della prestazione, vale a dire dal datore di lavoro, costituisce un acconto che verrà successivamente dedotto dalle imposte ordinarie da versare da parte del contribuente al quale si applica la Tou.

In questo senso, il datore di lavoro sottostà a degli obblighi previsti dalla legge, segnatamente deve trattenere l’imposta all’atto del versamento del salario e versarla successivamente all’autorità fiscale. Per questa attività riceve anche una provvigione e si espone a sanzioni penali in caso di inosservanza della normativa applicabile. Se versa lo stipendio senza trattenere l’imposta alla fonte, viene punito per sottrazione d’imposta, mentre, se la trattiene ma non la riversa al fisco, commette un’appropriazione indebita di imposte alla fonte. Tuttavia, la normativa risulta lacunosa nel caso in cui il datore di lavoro sia una persona giuridica che omette di versare le imposte al fisco, provocando in tal modo una perdita per lo Stato. Con una sentenza del Tribunale federale dell’anno scorso, i giudici hanno dato ragione al contribuente, che si era opposto all’agire dell’autorità fiscale ticinese che – in sede di tassazione ordinaria ulteriore – non gli aveva riconosciuto in deduzione dalle imposte ordinarie gli acconti non versati dal datore di lavoro, di cui il contribuente era stato amministratore-azionista. L’Alta Corte ha ritenuto che, conformemente al principio della riserva di legge, non vi è una base legale che regolamenta la responsabilità solidale dell’amministratore in caso di mancato pagamento da parte del sostituto d’imposta, come ad esempio invece avviene per i pagamenti dei contributi Avs. Di conseguenza, il fisco era tenuto a compensare con il debito d’imposta del contribuente l’imposta alla fonte, che non era tuttavia mai stata versata nelle casse statali.

Si osserva a tale riguardo che il Consiglio federale aveva proposto al parlamento l’inserimento di una disposizione legale durante la revisione dell’imposizione alla fonte sui redditi da attività lucrativa dipendente, poi entrata in vigore nel 2021. La norma proposta prevedeva che “se il debitore della prestazione è una persona giuridica, sono solidalmente responsabili a titolo sussidiario del pagamento dell’imposta i membri dell’amministrazione e tutte le persone che si occupano della direzione o della liquidazione”. Il parlamento non ha però dato seguito al suggerimento proposto.

L’assenza di una base legale specifica che ha per oggetto la responsabilità solidale dell’amministratore in caso di trattenuta insufficiente delle imposte alla fonte conduce a delle situazioni discutibili dal profilo dell’equità. Questo accade, ad esempio, quando subentrano tassazioni ordinarie ulteriori, dove vengono fittiziamente portate in deduzione delle imposte alla fonte che in realtà non sono mai state versate, generando una situazione del tutto insoddisfacente e incomprensibile.

Speriamo che il legislatore possa colmare presto questa lacuna…

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