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Caso Unitas, ‘il socialista Bertoli non ha fatto la differenza’

Dal 1995 la Legge federale sulla parità dei sessi impone al datore di lavoro precisi obblighi a protezioni dei propri dipendenti

Manuele Bertoli nel 2004, allora direttore di Unitas
(Ti-Press)

Venerdi scorso, in un’anonima saletta di un ristorante di Giubiasco, il consigliere di Stato Manuele Bertoli (Ps) ha dovuto ammettere che alcuni dei 17 casi di molestie sessuali emersi dall’audit di Unitas sono avvenuti durante il periodo in cui lui era direttore di questa associazione (2002-2011).

Il suicidio di una dipendente avvenuto nel 2001 ha avuto luogo in un periodo in cui, da quanto indicato da Bertoli, Unitas non aveva una direzione operativa; dunque, la responsabilità diretta della gestione del personale era di competenza del comitato, il cui vicepresidente era sempre Manuele Bertoli. Questi si era occupato della questione, insieme proprio al membro di comitato che avrebbe commesso mobbing e molestato. Il compito gli era stato dato poiché aveva studiato diritto, si reputava fosse competente e conoscitore delle questioni giuridiche relative alla vicenda, così ha riferito Bertoli venerdì a Giubiasco.

Tuttavia, lui non sente in alcun modo una responsabilità, né sui casi di molestie né sul drammatico caso di suicidio. Durante tutto il periodo in cui era nel comitato e alla direzione di Unitas, ha aggiunto, mai nessuna dipendente o dipendente si è rivolto a lui. Addirittura, ha aggiunto solennemente, dopo il suicidio della persona aveva scritto una lettera ai parenti invitandoli a un incontro per discutere la questione. Tuttavia, i parenti non si sarebbero più fatti sentire. A questo punto, ha suggerito, è evidente che egli non abbia alcuna responsabilità sulle vicende di Unitas sulle quali molti continuano, testardamente, a porre domande.

Ma, come da lui ripetuto più volte, competente in materia e giurista diplomato, Manuele Bertoli non poteva non sapere che dal 24 marzo 1995 vi è una Legge federale sulla parità dei sessi. Questa legge vieta ogni comportamento molesto di natura sessuale. In particolare, questa legge prevede che il datore di lavoro (dunque anche vicepresidente Unitas e successivamente il direttore Unitas Manuele Bertoli) possa essere ritenuto responsabile e condannato se non abbia adottato tutte le misure possibili e tutte le precauzioni richieste per evitare che sul posto di lavoro accadano casi di molestie sessuali.

Parimenti, Manuele Bertoli non poteva non sapere che l’articolo 328 del Codice delle obbligazioni è stato modificato, sempre nel 1995, con l’introduzione della protezione della personalità del lavoratore: "Nei rapporti di lavoro, il datore di lavoro deve rispettare e proteggere la personalità del lavoratore, aver il dovuto riguardo per la sua salute e vigilare alla salvaguardia della moralità. In particolare, deve vigliare affinché il lavoratore non subisca molestie sessuali e, se lo stesso fosse vittima di tali molestie, non subisca ulteriori svantaggi". Qualora non si ricordasse più quest’articolo, lo invito a voler leggere il commentario, redatto da Christiane Brunner, già presidente del Partito socialista svizzero. Potrà trovare tutta una serie di indicazioni e obblighi che il datore di lavoro deve adottare al fine di evitare pressioni psicologiche, mobbing e molestie sessuali.

Nascondersi dietro al fatto che nessuno sia andato dal vicepresidente di Unitas, poi diventato direttore, a segnalare quanto accadeva non serve a nulla. In questo caso era un obbligo di Bertoli, come datore di lavoro, preservare la salute (e anche la vita) delle sue dipendenti e dei suoi dipendenti. Era un suo obbligo legale, come datore di lavoro, introdurre meccanismi e procedure che permettessero di evitare simili situazioni. Come dirigente socialista questo compito era da considerarsi ancora più importante e impellente. Purtroppo, come abbiamo potuto constatare per il suo modo di gestire il Decs, neppure a Unitas ha saputo fare la differenza.

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