l’altra economia

L’aiuto interno alle esportazioni

(Keystone)

Il 13 ottobre del 2007 il tasso di cambio tra euro e franco svizzero aveva raggiunto il suo massimo a 1,68, oggi siamo a 0,93. All’inizio del decennio scorso la Banca nazionale svizzera decise di difendere il rapporto di 1,20, ma l’operazione si rivelò troppo onerosa e nel 2015 si decise di lasciar fluttuare la nostra moneta. Un franco in continua rivalutazione verso le principali monete (e quindi non solo rispetto all’euro) è un problema serio per le nostre esportazioni, nonostante la nostra bilancia commerciale sia sempre in attivo. Nel 2022 abbiamo esportato per 382 miliardi di franchi e importato per 341 miliardi. Dal 2010 a oggi le esportazioni sono aumentate dell’88% e le importazioni dell’85%. Il 54% delle nostre importazioni proviene dall’Europa, mentre le esportazioni vanno per il 46% in Europa e per il 33% verso l’Asia.

Apparentemente quindi non sembra che il franco forte influenzi più di tanto il nostro commercio estero, ma la situazione non è infinitamente sostenibile. Ci sono comunque perlomeno due problemi maggiori. Il primo è che i contratti di vendita vengono fissati con scadenza di diversi mesi e se nel frattempo la nostra moneta si apprezza ulteriormente, l’impresa rischia delle perdite importanti. Fortunatamente ci sono strumenti finanziari e gli aiuti pubblici per ovviare, perlomeno in parte, a queste situazioni. Il secondo problema è il più importante: i nostri prodotti diventano progressivamente più cari per i clienti esteri. Da decenni compensiamo questo problema con l’innovazione e la tecnologia, con risultati “miracolosi”. I clienti esteri sono disposti a pagare di più perché sanno che possono fare affidamento su una qualità molto elevata. Questo miracolo è stato possibile grazie agli importanti investimenti pubblici nella ricerca accademica, che l’ha poi trasferita alle imprese. Naturalmente gioca un ruolo rilevante anche la competenza della maggior parte degli imprenditori e una manodopera altamente qualificata.

In questa situazione esiste anche un vantaggio. Il continuo apprezzamento del franco, rispetto sia all’euro che al dollaro, rende più economiche le importazioni, soprattutto delle materie prime che sono carenti nel nostro Paese. Questo fatto spiega, in parte, perché l’inflazione è stata più contenuta in Svizzera rispetto agli altri Paesi industrializzati. Tuttavia, l’impressione è che questo meccanismo di compensazione avvenga solo in parte. Ad esempio, il prezzo della benzina – contrattato in dollari – è sempre stato in linea con quello dei Paesi vicini, il che significa che i minori costi di importazione non sono stati trasferiti al consumatore finale, ma sono andati nelle tasche dei grossisti e/o dei dettaglianti del settore.

In prospettiva, se vogliamo salvaguardare le nostre esportazioni sarebbe importante un intervento politico per correggere le distorsioni interne e per risolvere problemi quali il libero accesso ai mercati (soprattutto Ue), garantendo un immediato ritorno all’interno della Confederazione dei progetti di ricerca europei, fondamentali per le capacità innovative del Paese.

Un esempio di auspicabile intervento pubblico è quello del mercato energetico, i cui prezzi incidono in maniera crescente sui costi di produzione. Il 79% dell’energia elettrica consumata in Svizzera proviene da fonti rinnovabili (idroelettrico, fotovoltaico ed eolico), il 19% è nucleare (indigeno ed estero) e solo il 2% da fonti fossili. Si potrebbe quindi dedurre che il costo dell’energia rimanga stabile negli anni. Purtroppo non è così. Consideriamo un’impresa di medie dimensioni che consuma 150’000 kWh l’anno. Prendendo i dati Ses vediamo che nel 2016 il costo era di 19,89 centesimi al kWh, nel 2020 22,59 e nel 2024 sarà di 33,86. In soldoni significa che la stessa impresa nel 2024 spenderà 21’000 franchi in più rispetto al 2016. Esaminando i dati per cantone (una media delle imprese distributrici presenti sul territorio) scopriamo che quest’anno nel Canton Nidvaldo il prezzo del kWh è 18,92 centesimi, nei Grigioni 25,62, a Zurigo 29,63 e in Ticino 32,57 (il terzo cantone più caro). Ma anche le differenze cantonali sono significative. Se per i clienti Ses il prezzo è di 33,86, per quelli di Amb (il meno caro) è di 26,19, mentre a Faido è di 27,91. Per un’impresa che dovesse trasferirsi da Locarno a Bellinzona (o a Faido), il risparmio annuo sarebbe attorno ai 10’000 franchi e di 22’000 franchi in caso di trasferimento nel Canton Nidvaldo.

Ma cosa c’entra questa analisi del mercato elettrico con la competitività delle imprese svizzere sui mercati esteri? C’entra, perché oltre ai forti aumenti del costo dell’energia (difficili da giustificare) ci sono differenze enormi tra cantone e cantone e addirittura tra comune e comune. Se alle difficoltà dovute al franco forte aggiungiamo anche i costi energetici con differenze considerevoli da regione a regione (e altre incertezze come quelle con l’Ue), vediamo che i problemi per alcune imprese diventano significativi. Ma soprattutto in un Paese di 9 milioni di abitanti, che produce al proprio interno la maggior parte dell’energia che consuma, non ha nessuno senso avere un mercato così parcellizzato. Un primo passo per aiutare le imprese svizzere sarebbe quello di uniformare i costi energetici, possibilmente con prezzi equi. Una strategia sicuramente più efficace dell’assurda competizione fiscale tra i Cantoni.

L’esempio energetico è solo uno dei possibili esempi di come aiutare le nostre imprese esportatrici (e non) che, è bene ricordarlo, sono un elemento fondamentale della nostra economia e anche del nostro benessere economico.

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