I dibattiti

Diritti degli israeliani, diritti dei palestinesi

(Keystone)

Due popoli, Israele e Palestina, entrambi con il diritto di esistere e di autodeterminarsi, di vivere in pace e sicurezza tra il fiume Giordano e il mare Mediterraneo. Altrimenti, quale sarebbe l’alternativa? L’unica altra via d’uscita rischia di essere la guerra, la violenza e l’odio a oltranza, la distruzione, lo sradicamento e l’espulsione del popolo avversario, in nome del principio che tra il fiume e il mare non debba che esistere un popolo, o quello israeliano, o quello palestinese. Il dramma è che molti palestinesi e molti israeliani paiano condividere un reciproco fondamentalismo, opposto ma speculare, un estremismo nazionalista e/o religioso che crede che il proprio popolo avrebbe un diritto naturale ed esclusivo di esistere su quella terra. Da un lato il fondamentalismo di Hamas e del radicalismo islamico, che ai tempi fu anche del nazionalismo arabo-palestinese, fondato sull’idea che solo quando gli ebrei se ne saranno andati ci potrà essere libertà, giustizia e autodeterminazione per la Palestina. Dall’altro lato, il fondamentalismo religioso e di un certo nazionalismo ebraico, fondato sull’idea che solo quando gli arabi se ne saranno andati del tutto Israele potrà vivere finalmente in pace e sicurezza. E ai palestinesi che rimangono non si può che offrire una vita sotto assedio e occupazione, in quelle carceri a cielo aperto che sono la Cisgiordania e rischia di tornare a essere Gaza.

Agli opposti fondamentalismi, che vogliono imporre la loro supposta verità con la guerra e la violenza, si potrebbe rispondere con un atteggiamento laico, razionale e illuminista: i popoli e le nazioni sono delle costruzioni sociali, politiche e culturali, e non vi è alcun diritto originario, esclusivo, naturale per una comunità di risiedere su un determinato territorio. Ciò non significa negare i diritti storici e umani dei popoli e degli individui: il diritto di ogni persona di poter avere delle radici e una propria terra, dov’è nata e/o dalla quale proviene la sua famiglia, dove può esistere e svilupparsi la sua comunità politica e sociale di appartenenza.

All’interno del conflitto israelo-palestinese, questo presupporrebbe un reciproco riconoscimento, fondato su un principio di uguaglianza e sul rispetto dei diritti di ambo le parti, riconoscimento volto a contrastare, limitare e criticare qualsiasi doppio standard politico e morale. Altrimenti rischia di esservi solo ipocrisia, perché dietro a dei supposti e conclamati diritti universali non si nasconderebbero che dei diritti e interessi particolari, da imporre a scapito dei diritti e degli interessi dei propri avversari.

La vita di un palestinese non vale né di più né di meno della vita di un israeliano. Bisognerebbe contrastare l’antisemitismo e l’odio contro gli ebrei quanto il razzismo e l’odio contro gli arabi e i musulmani. Il diritto alla libertà, all’autonomia, alla sicurezza di un israeliano vale quanto il diritto alla libertà, all’autonomia, alla sicurezza di un palestinese. In nome del diritto dell’esistenza di un popolo, non si può sacrificare il diritto alla vita e all’esistenza di un altro popolo. Si dia spazio, allora, nell’opinione pubblica, alle voci, alle storie e alle tragedie sia degli israeliani che dei palestinesi. Si condannino con la giusta misura i crimini di ambo le parti. Si dica a Israele che ha il diritto di vivere in pace e sicurezza, chiedendo ai palestinesi di riconoscere il suo diritto di esistenza. Contemporaneamente, si chieda a Israele di riconoscere il diritto di autodeterminazione del popolo palestinese, di bloccare il massacro a Gaza e di pensare a un piano per tornare ai confini territoriali del 1967, iniziando a smantellare gli insediamenti coloniali illegali in Cisgiordania.

Altrimenti, continueremo a essere degli spettatori che, dagli spalti di un’arena, si indignano perlopiù per le sofferenze e le morti del proprio popolo amico, mentre giustificano, nascondono o minimizzano le sofferenze e le morti dei propri nemici, in uno spettacolo di orrore senza fine nel quale le vite degli altri non sono che delle vittime sacrificali del proprio accecamento ideologico. Mors tua, vita mea.

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