I dibattiti

Attacco agli impieghi e alla tenuta democratica

Licenziamenti su licenziamenti. È questo quanto sta capitando nel mondo mediatico svizzero

(Ti-Press)

Licenziamenti su licenziamenti. È questo quanto sta capitando nel mondo mediatico svizzero. Dopo i tagli annunciati nelle scorse settimane dal gruppo TX, per un totale di circa 80 posti di lavoro, lo scorso 8 novembre ci ha pensato un’altra grande casa editrice svizzero-tedesca, CH Media, a trasformare questo autunno in un vero e proprio calvario per il giornalismo svizzero. Questo gruppo – che ruota attorno all’Aargauer Zeitung e che opera anche con propri canali televisivi e radiofonici – ha annunciato la soppressione di ben 150 posti di lavoro.

Da settembre a oggi i tagli nel settore raggiungono pertanto i 230 impieghi, si tratta dell’emorragia più grave che il mondo dei media elvetico abbia mai conosciuto, perlomeno nella sua storia recente. Davanti a queste cifre e a questo ulteriore indebolimento, val la pena ricordare che il 13 febbraio del 2022 venne bocciato a livello federale il pacchetto di aiuti ai media. E questo dopo che l’Udc, con il sostegno anche di deputati del Plr e del Centro, aveva lanciato il referendum per impedire la concretizzazione di questo progetto. Si trattava di un aiuto supplementare di circa 150 milioni, che l’Udc aveva combattuto anche con questo slogan: “No ai miliardi dei contribuenti per media milionari”. Slogan totalmente fuorviante che ha spinto l’elettorato a bocciare quel pacchetto e che suona ora tristemente ingannevole. Se i media svizzeri potessero oggi contare sugli aiuti di quel pacchetto forse non dovremmo fare i conti con i tanti licenziamenti annunciati in queste settimane.

In Svizzera il popolo ha sempre ragione, e questo non si discute. Sta di fatto che quella campagna, condotta con toni aggressivi e fasulli, ha di certo contribuito ad affossare quel progetto. I promotori di quel referendum, accolto dal 54% dei votanti, dovrebbero oggi cospargersi il capo di cenere davanti a ben 230 licenziamenti. Ma difficilmente questo accadrà, anzi Udc e dintorni hanno già lanciato un secondo attacco al sistema mediatico elvetico, questa volta con l’iniziativa che chiede di ridurre il canone radiotelevisivo a 200 franchi. Se questa iniziativa dovesse essere accolta, i licenziamenti sarebbero di certo superiori a quelli comunicati in questo autunno 2023. Con ripercussioni gravi anche nella Svizzera italiana.

Gli stregoni mediatici della destra economica e dell’Udc hanno questo in testa: indebolire i media del nostro Paese e con essi il giornalismo svizzero. Alcuni di loro la pensano un po’ come Trump, “i giornalisti sono dei nemici”. Purtroppo non si rendono conto che un buon giornalismo è sinonimo di democrazia sana. Ma non solo: il giornalismo, autorevole e di qualità, deve ormai essere visto anche come un elemento della sicurezza nazionale. Le guerre in Ucraina e tra Israele e Hamas rendono attenti proprio su questo: un conflitto, ma pure una campagna elettorale, si combattono anche a suon di fake news. E le notizie false possono davvero fare molto male agli equilibri interni di un Paese. Quelle fake news sono il nemico da combattere. L’antidoto c’è, ed è il buon giornalismo. Per questo deve essere sostenuto. I licenziamenti di queste settimane e il voto di due anni fa sono lì a ricordarci che il prezzo da pagare rischia davvero di essere molto alto. In termini di posti di lavoro e in termini di tenuta democratica della nostra società.

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