laR+ I dibattiti

A proposito di una pratica invalsa, ma non virtuosa

Riflessioni sulla scelta del direttore artistico della Orchestra della Svizzera italiana (addio Lugano bella...)

In sintesi:
  • I candidati scelti erano il meglio dell'offerta a disposizione?
  • I criteri di selezione delle università americane, cha costituiscono un piccolo modello
L’Osi all’opera
(Keystone)
9 giugno 2023
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Quarant’anni e più di università mi hanno insegnato qualcosa sui concorsi. Vedo ora che l’ultimo in ordine di tempo, svoltosi a Lugano, per un posto di direttore artistico della Radio Orchestra della Svizzera italiana, ha suscitato malumori in ordine ai candidati scelti che non rappresenterebbero, a giudizio di autorevoli attori di quel mondo, il meglio dell’offerta a disposizione.

L’esperienza mi dice che ciò non è solo possibile ma anche molto probabile, in ordine per lo meno ai criteri scientifici e più latamente culturali che dovrebbero primeggiare. Sappiamo del resto che le commissioni deputate a scegliere i candidati sono ‘corpi intermedi’, scelti da un ceto politico che le avalla e che così mantiene il controllo sulle scelte fatte dando un’apparenza di totale indipendenza delle commissioni. In questo non c’è differenza tra i diversi ambiti interessati da un concorso. Sappiamo anche che per ‘mandare’ occorre poter nominare chi altrimenti mai avrebbe raggiunto quel posto e che dunque tutto deve a chi lo nomina. Ci sono tuttavia dei limiti di decenza, cioè ‘trasparenza’ che le istituzioni sempre più si danno, anche per non rischiare ricorsi, e che devono garantire. Li ricorderò brevemente, sulla base di quanto, un esempio tra altri, fanno spesso (non sempre) le cinque più prestigiose università americane che da questo punto di vista costituiscono un piccolo modello (l’esperienza è diretta): 1. Le candidature sono pubbliche (dunque si sa chi ha concorso). 2. La commissione giudicatrice anche. 3. Eventuali legami di interesse o d’altro, legami familiari ecc., tra commissari devono essere dichiarati e, di conseguenza, evitati. 4. I criteri di scelta sono annunciati prima, e non applicati dopo, per evitare l’arbitrio. Rispondono a esigenze di strutturazione della disciplina (attività culturale o insegnamento che sia) o di strategia dell’istituzione (in questo caso, una commissione di ‘struttura’ è chiamata per tempo a riflettervi). 5. La scelta deve tenere in attenta considerazione le qualità del candidato sotto il profilo specifico della materia, le altre logiche (se il budget è assicurato) devono seguire. Altri elementi possono essere presi in esame, ma senza rinunciare all’eccellenza nella disciplina in questione e in nessun caso, un concorso aperto per una posizione può approdare a esiti diversi (come qui avviene con lo smembramento dei ruoli). Su questa base, una rosa ristretta di candidati deve poi, finalmente, essere convocata.

Questo nel pubblico, perché nel privato le pratiche sono diverse. Certo sempre più anche il pubblico funziona come il privato e la cooptazione, in luogo del concorso, è d’attualità come è d’attualità lo ‘slittamento’ interno. Le ragioni? A favore della prima stanno gli eventuali ricorsi che allungherebbero le procedure di nomina (un’opinione che la dice lunga sulla visione che della cosa pubblica hanno certe istituzioni) e, insomma, la cooptazione mantiene alla commissione le ‘mani libere’. A favore dello ‘slittamento’ interno si adduce, tra l’altro, il risparmio finanziario e la conoscenza dei problemi. Non vorrei parere ironico, ma ci si può chiedere quale sia il prezzo di questi ‘saldi’ concorsuali in termini di ‘eccellenza’, sempre comunque ventilata urbi et orbi. Sappiamo anche come si scartano i candidati ‘scomodi’: si adducono ragioni ‘caratteriali’, dubbi sul loro effettivo interesse per il posto che andrebbero a occupare o il luogo in cui dovrebbero risiedere ecc.

Non entro nel tema del concorso in questione che non conosco e che di certo riguarda solo brave persone. Ma se anche uno di questi criteri fosse stato disatteso, il dubbio sull’intera operazione sarebbe più che legittimo. In fondo, si tratta di difendere un ‘interesse pubblico’ e ciò coincide molto semplicemente con questo: che il pubblico, interessato alla musica della Radio Orchestra della Svizzera italiana come a qualsiasi altra attività culturale finanziata col denaro pubblico, non sia fatto passare impunemente per fesso con ragioni da azzeccagarbugli.

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