laR+ I dibattiti

Questa nostra cara Europa

(Ti-Press)

Il dibattito sull’Ue è tornato in voga legandosi a quello sul concetto di neutralità della Svizzera, neutralità che sembra essere un principio rigido ma che, a ben vedere, tanto rigido non è. Coloro che ne vogliono sottolineare tale rigidità vorrebbero rendere sistemica la paura dell’altro, ostentare una sorta di visione monadica della Svizzera, priva di porte e sbocchi verso l’esterno: una Confederazione svizzera – che poi è uno Stato federale – isolata, autoreferenziale, energeticamente autosufficiente, culturalmente impermeabile.

Poi, ci sono coloro che vedono la neutralità per quello che è, ovvero una condizione che presenta molte sfaccettature. La neutralità non significa non avere occhi, naso, bocca, opinioni. L’interpretazione del concetto di neutralità mette in gioco la dignità della Svizzera stessa e i valori che sono contenuti nella sua Carta costituzionale, non dimentichiamolo. Attenzione: la neutralità non avrebbe salvato la Svizzera dall’annichilimento da parte della Germania di Hitler. La fortuna della Svizzera è stata quella di non vedere attuato il piano Tannenbaum che prevedeva l’annessione per lo meno della Svizzera tedesca: Hitler se ne sarebbe infischiato della neutralità.

Oggi la Svizzera è molto lontana dall’essere la monade che qualcuno vorrebbe rendere sempre più autoreferenziale. Ha rapporti economici, sociali, culturali con l’Ue. Molte delle regole contenute negli accordi bilaterali attualmente in vigore ricalcano le regole che avrebbe dovuto rispettare facendone parte. C’è solo un problema: non ha la minima voce in capitolo nella formazione di queste regole. Dagli anni 90, il Pil della Svizzera è stato più basso, in media tra l’1 e il 2%, rispetto agli Stati europei. In effetti, gli svizzeri hanno la percezione che la loro qualità della vita e il loro benessere siano costantemente diminuiti negli ultimi 20 anni. Perché? Colpa di un’adesione all’Ue che non c’è? Colpa del frontalierato? Non è paradossale che il Paese federalista per eccellenza non comprenda le virtù federaliste dell’Ue?

Gli eventi recenti ci stanno, poi, mettendo di fronte anche a dinamiche di tipo militare: c’era da prevederlo. I Paesi dell’Ue stanno scoprendo il senso di quella ambiziosa collaborazione nata nel dopoguerra, quella collaborazione che, nei sogni di Calamandrei, di De Gasperi, di Adenauer, immaginava un’Europea unita sotto il profilo politico e militare.

Nella prima pagina del manuale del perfetto statista c’è scritto che il grande politico deve vedere la realtà con gli occhi di chi la vivrà fra cento anni: un periodo di tempo notevole. La storia ci sta dimostrando che il processo d’integrazione Europa sta andando avanti e, tra scossoni, proseguirà, perché è l’unica via verso una pace tra i nazionalismi e, soprattutto, rappresenta il modo per affermare i valori liberali in cui crediamo, sempre di più.

La Svizzera, fino a ora, non ha subito molti shock, come ha affermato ultimamente René Schwok, professore presso il Global Studies Institute e presso il Dipartimento di scienze politiche e relazioni internazionali dell’Università di Ginevra: potrebbe non essere così in futuro.

Vuole restare a guardare chiamandosi fuori da ogni dinamica di collaborazione?

Vuole davvero continuare a fare partita a sé, nascondendo a se stessa il fatto di essere, bene o male, un Paese europeo?

Vuole correre il rischio di subire qualcuno di questi shock in futuro senza avere alcuna rete protettiva e di collaborazione esterna?

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