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La verità è che siamo tutti verdi

Si rende fondamentale e prioritario un profondo ripensamento dell’uomo in relazione al contesto ambientale in cui vive. Necessitiamo un cambiamento paradigmatico capace di esulare dalle differenze sociali e che si pone su un piano egualitario per perseguire simili intenti inerenti alla salvaguardia ambientale con e per ogni cittadino. Siamo creatori delle nostre abitazioni e dei paesaggi, del nostro ambiente e del nostro microcosmo, e a ciò siamo vincolati. E allora cogliamo questa possibilità di costruire e modellare una “mentalità” davvero volta alla sostenibilità, con coraggio e coinvolgendo tutte le generazioni, includendo ogni ambito del nostro vivere: dal cibo al vestiario ai mezzi di trasporto all’abitare e al relazionarsi. Con ciò costruiamo anche la nostra identità, un senso di appartenenza e una valida e solida educazione che devono avvalersi del rispetto armonioso per la natura, il paesaggio e l’ambiente, ponendo gli aspetti bioclimatici come punto focale e non da meno per noi come umanità congrua alla bellezza di questo pianeta, non più mossi in prima istanza dal fattore economico bensì da un’attitudine coerente e una sana convivenza tanto tra i popoli quanto con la natura stessa.
In un’epoca di accelerate trasformazioni del mondo deve vigere la delicatezza per ottenere l’equilibrio tra la superficie terrestre abbondantemente abitata e l’avvaloramento del senso fondamentale della vita e di tutte le sue intrinseche sfumature. Nel contempo non possiamo più permetterci di soccombere a lunghe procedure legislative e burocratiche affinché scelte sbagliate che furono anteposte non siano attualizzate in inaccettabili ostacoli.
Il metabolismo urbano può rendere giustizia alla peculiarità della pratica edilizia e costruttiva: gli alberi sono centrali in questo processo, e la sostituzione dei materiali da costruzione deve essere inclusa. Confidiamo in un “ritorno” dei “nuovi” materiali: legno-argilla-muratura per ristabilire l’equilibrio tra l’espansione urbana e quella boschiva, curando le fasce liminali, sostituendo man mano gli esuberi di acciaio-cemento, concedendo incisive compenetrazioni verdi negli agglomerati, incentrando l’economia circolare tanto nei modi quanto nei materiali per rendere concepibili nuovi paesaggi energetici e territori urbani adatti al clima, evitando sconsiderate estrazioni di materie prime e agricolture intensive che cortocircuitano l’ecologia e l’economia.
Pongo alcune domande a cui rispondere, tutti, con sensibilità: siamo davvero liberi dall’ennesima manovra capitalistica che non tiene in considerazione il reale impatto a medio e lungo termine sull’ambiente locale e globale? Come non sopperire alla plutocrazia per concretamente volgerci verso un equilibrio non disfattista e non distruttivo, bensì sano, includente, armonioso e vivificante il “–cene”? Siamo disposti ad andare oltre la plutocrazia e permettere di accedere alle risorse in modo eguale ed evitando di esporci a rischi e ingiustizie dati dalle disparità?

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