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L'ecosostenibilità ha bisogno dei Radicali

All'Accademia di Architettura di Mendrisio nei primi anni 2000 teneva lezioni di "Ecologia umana" il prof. Riccardo Petrella, probabilmente il più autorevole politologo ed economista europeo che si è occupato di sviluppo ecosostenibile e dell'importanza dell'acqua come diritto fondamentale. Petrella, assieme a Mario Soares, Danielle Mitterand e tanti altri, nel 1997 ha redatto il Contratto mondiale dell'acqua, a tutt'oggi il documento più importante sull'utilizzo dell'acqua a livello planetario. Nel 1991, Petrella con lo svizzero Luc Tissot e tanti altri ha dato vita al Gruppo di Lisbona, vero e proprio punto di riferimento per le politiche dell'ecosostenibilità, evoluzione di quel Gruppo di Roma (sempre con Petrella fra i promotori), che all'inizio degli anni 70 è stato il vero precursore della teoria dell'ecosostenibilità, intesa come limiti allo sviluppo selvaggio e saccheggiatore di risorse naturali, antesignano di tutti gli accordi mondiali sul clima.
Proprio il concetto dei limiti allo sviluppo avanzato 50 anni fa dal Gruppo di Roma può essere coniugato con il pensiero dei Radicali ticinesi, che per tutti gli anni 90 e i primi anni 2000 ha saputo vedere i "limiti" del neoliberismo ed è stato l'argine al trionfo incondizionato di quest'ultimo, che fra mito delle privatizzazioni e laissez faire voleva ridurre la dimensione pubblica e il ruolo dello Stato alla totale marginalità.
È il pensiero radicale che più di chiunque altro ha difeso la centralità e l'importanza dello Stato per lo sviluppo di un determinato territorio, riconoscendo l'importanza del mercato e dell'iniziativa privata, ma non sposando mai teorie quasi "messianiche" come il "mercato si autoregola sempre e comunque", lo "Stato snello" ecc.
La crisi ambientale di oggi è figlia principalmente di quell'ideologia che ha creduto che "lasciando fare" a tutti in base ai propri personali interessi, il tutto si sarebbe autoregolamentato. E invece no, e la crisi ambientale è addirittura diventata emergenza. Se non si assume un punto di vista più alto dei propri interessi a corto termine, privilegiando la dimensione pubblica e prospettive a lungo termine, difficilmente si riuscirà ad affrontare la crisi ambientale. L'ambiente per antonomasia non è di qualcuno, ma di tutti. Proprio per questo solo la dimensione pubblica, che rappresenta l'intera collettività, è il luogo per definizione dove affrontare una crisi che ci riguarda tutti, come quella ambientale. Il pensiero radicale ticinese ha difeso e tutelato questa dimensione pubblica nei decenni scorsi dagli attacchi di chi voleva smantellare tutto. Ora, passata l'ubriacatura del neoliberismo, dobbiamo utilizzare lo Stato come fulcro di una transizione energetica che garantisca una qualità di vita migliore alla cittadinanza.
Credo che un nuovo sviluppo ecosostenibile debba essere coniugato a democrazia e partecipazione, tornando a mettere al centro la dimensione pubblica, intesa come luogo di discussione e partecipazione per il Bene Comune.

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