Pacchetto votato con una maggioranza che non lascia spazio a dubbi ma nella quale spicca un grande assente
Una votazione rapida, con una maggioranza che non lascia spazio a dubbi ma nella quale spicca un grande assente: l'Italia. Il nuovo Patto di stabilità e crescita è all'ultimissimo miglio prima di entrare in vigore e ha incassato, a Strasburgo, il via libera definitivo del Parlamento Ue.
Il testo cambia le regole del gioco nella governance economica mantenendo da un lato i parametri del 3 e del 60% per il deficit e per il Pil ma concedendo dall'altro dei piani di rientro più graduali per i Paesi ad alto debito. Ai partiti italiani, tuttavia, il compromesso raggiunto lo scorso 21 dicembre dai ministri dell'Economia dei 27 non è bastato.
Solo 4 eurodeputati italiani hanno votato a favore. Il centrodestra, in blocco, si è astenuto, così come il Pd. Il M5S e i Verdi hanno votato contro. A votare il testo chiave del Patto, il cosiddetto braccio preventivo con i nuovi parametri di bilancio, tra gli italiani sono stati Herbert Dorfmann e Lara Comi del Ppe, Marco Zullo e Sandro Gozi di Renew. Con quest'ultimo che, tra i banchi del Pe, siede nelle fila dei macroniani.
Keystone
Ursula von der Leyen sul palco
"Abbiamo unito la politica italiana", ha scherzato il commissario agli Affari Economici Paolo Gentiloni mentre Carlo Calenda ha osservato: "Andava votato dopo le Europee". Le nuove regole sono chiamate all'ultima ratifica il 29 aprile, in occasione della riunione dei ministri dell'Agricoltura. E se nessuno si opporrà, saranno realtà. "Il nuovo Patto non è perfetto ma è un buon compromesso", ha spiegato in Aula Gentiloni vedendo, per l'Italia, il bicchiere mezzo pieno: "Ha una doppia sfida, quella di politiche di bilancio prudenti e quella di continuare con investimenti pubblici che aiutino la crescita. E con le attuali regole questa sfida sarebbe forse molto, molto difficile da attuare".
Il nuovo Patto cerca infatti di mantenere dei parametri rigidi per il rientro dal debito e dal deficit, introduce sul deficit la soglia dell'anti-crisi dell'1,5% del Pil ma concede qualcosa a Paesi come Italia, Belgio, Grecia, Francia o Spagna, che hanno debiti elevati. I governi potranno concordare con Bruxelles un piano di rientro che va da 4 a 7 anni in cambio della messa in campo di riforme per crescita e conti sostenibili. Il taglio annuale del debito, per chi è sopra la soglia del 90% del Pil, resta dell'1% annuo. Sul deficit, i Paesi che sforano il 3% sono chiamati a una riduzione dello 0,5% annuo ma con un periodo transitorio che arriva fino al 2027 e nel quale la percentuale potrà essere ridotta.