caraibi

Il premier di Haiti si dimette, ma la crisi non si chiude

‘Barbecue’, leader delle gang, respinge il piano di Kingston

La capitale Port-au-Prince è in mano alle gang
(Keystone)

Un percorso verso la stabilizzazione di Haiti e la ricostruzione delle sue istituzioni democratiche ora esiste. Ma bisogna fare presto. Con questo messaggio si è concluso il vertice di Kingston, in Giamaica, della Comunità dei Caraibi (Caricom), in cui si è preso atto delle dimissioni del premier Ariel Henry e si è indicato nella costituzione di un Consiglio presidenziale di transizione il primo passo per affrontare la crisi esistente.

Il tempo stringe

La scommessa si regge sulla possibilità che tutte le parti haitiane trovino un'intesa e riescano a consegnare "entro 48 ore" i nomi dei sette delegati a pieno titolo, e dei due con rango di osservatori, che siederanno nel Consiglio. Non lo hanno ricordato i comunicati, ma ad Haiti non si svolgono elezioni dal 2016. Non ci sono presidente, Parlamento, Corte suprema, un vero governo, né amministratori locali eletti. La figura del premier, ora dimissionario, era l'unica con un minimo di legittimità. Gli Stati Uniti hanno lavorato alla soluzione della crisi.

Il segretario di Stato Antony Blinken ha dato con la sua presenza in Giamaica forza politica e finanziaria (salito a 300 milioni di dollari lo stanziamento Usa per Haiti) agli impegni del vertice e permesso di definire le fasi del percorso che dovrà portare a elezioni generali.


Keystone
Il premier dimissionario di Haiti, Ariel Henry

La transizione possibile

Il Consiglio presidenziale, una volta insediatosi, selezionerà e nominerà rapidamente un primo ministro ad interim, ed insieme con lui procederà alla designazione di un governo inclusivo, e poi di un Consiglio elettorale provvisorio (Cep). L'altro importante incarico che dovrà svolgere riguarderà la collaborazione con tutti i membri della comunità internazionale per lo spiegamento accelerato della Missione multinazionale di sostegno alla sicurezza (Mmas), autorizzata dall'Onu in ottobre.

Le bande

Fin qui tutto bene, se non fosse che il massimo leader delle bande criminali haitiane che hanno messo a ferro e fuoco Port au Prince, Jimmy Chérizier, conosciuto come Barbecue, ha convocato, in tenuta militare e con un fucile mitragliatore, una conferenza stampa per far conoscere il suo pensiero.

Non escludendo l'idea di doversi impegnare in una prossima guerra civile, pericolo prospettato di recente dalla chiesa cattolica haitiana, Chérizier ha respinto completamente l'accordo raggiunto in Giamaica, ed ha ribadito di essere impegnato in una battaglia "per liberare Haiti dai politici tradizionali e dagli oligarchi corrotti". Infine, ha lanciato un avvertimento in modo sprezzante: "Non siamo venuti qui per mentire alla gente. Non stiamo facendo una rivoluzione pacifica", ma "una rivoluzione sanguinosa".

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