medio oriente

Niente tregua per il Ramadan

Netanyahu tira dritto su Rafah. Il capo della Cia in Egitto e Qatar per il nodo ostaggi

Lancio di aiuti su Gaza
(Keystone)

Cala il sipario con un nulla di fatto sull'ennesima tornata di colloqui al Cairo per far tacere le armi nella Striscia di Gaza. Nessuno ha parlato di "rottura", perché i negoziati riprenderanno la settimana prossima e si è mosso anche il direttore della Cia, Bill Burns, che a quanto si è appreso è volato al Cairo e poi a Doha per continuare le trattative con il premier del Qatar. Ma di certo non ci sarà una tregua prima dell'inizio del Ramadan, domenica o lunedì, mentre il premier israeliano Benyamin Netanyahu respinge tutte le pressioni internazionali e ribadisce la volontà di estirpare Hamas dalla città di Rafah, perché non farlo, ha detto, significherebbe "perdere la guerra". Intanto anche la situazione lungo la linea di demarcazione tra Libano e Israele si fa sempre più incandescente, con un presunto minaccioso ultimatum israeliano al movimento Hezbollah, poi smentito da Israele.


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Bombe su Khan Younis

I negoziati

Al Cairo le delegazioni di Qatar, Hamas e Stati Uniti sono state ritirate. Un alto funzionario del movimento islamico ha accusato Israele di aver "vanificato" tutti gli sforzi dei mediatori per raggiungere un accordo. Allo stesso tempo, in una nota lo stesso movimento ha precisato che "la delegazione di Hamas ha lasciato il Cairo per consultarsi" con la sua leadership" ma "continuano i negoziati e gli sforzi per fermare l'aggressione, consentire il ritorno degli sfollati e portare aiuti umanitari al nostro popolo palestinese". Anche Israele, che al Cairo non aveva mandato una sua delegazione dicendo che prima voleva un elenco degli ostaggi che avrebbero potuto essere rilasciati in base all'accordo, ha tenuto a far sapere per vie traverse che si continua a trattare: "È un errore pensare che i negoziati sugli ostaggi siano finiti", ha affermato l'ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, Jack Lew, aggiungendo che "conversazioni sono ancora in corso. Ci sono persone che vanno e vengono" e "le distanze vengono ridotte".

Tel Aviv non cede

Le maggiori divergenze però evidentemente restano, mentre Benyamin Netanyahu è determinato ad andare avanti ad ogni costo con l'offensiva contro la città di Rafah e il numero dei morti nella Striscia ha raggiunto quota 30.800, secondo il bilancio fornito dalle autorità di Hamas. "Il nostro esercito - ha avvertito il premier israeliano - continuerà a combattere contro tutti i battaglioni di Hamas, anche a Rafah. Rafah è l'ultima roccaforte di Hamas. Chi ci dice di non agire là, ci chiede di perdere la guerra. Questo non avverrà".


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Un bambino palestinese terrorizzato dopo un attacco

Una posizione che tuttavia continua a irritare la Casa Bianca al punto che, secondo il Washington Post, l'amministrazione Biden sembra stia valutando modi per impedire allo Stato ebraico di utilizzare armi statunitensi proprio nel caso in cui attaccasse l'area densamente popolata intorno alla città di Rafah. Sul fronte nord, invece, i media libanesi hanno riferito che Israele ha dato a Hezbollah una settimana di tempo per accettare la proposta di accordo statunitense, presentata nei giorni scorsi dall'inviato speciale Usa Amos Hochstein e che prevede, di fatto, l'allontanamento dei combattenti libanesi filo-iraniani dalla linea di demarcazione tra Libano e Israele.

Rischio Libano

Il quotidiano di Beirut al Akhbar, molto vicino Partito di Dio filoiraniano, ha scritto che Israele ha informato "Paesi occidentali" che aspetterà fino al 15 marzo, poi sarà pronto a un'escalation militare che può condurre a una guerra su larga scala. Una fonte politica israeliana ha negato l'ultimatum, affermando che "quella notizia non è vera, non c'è una dead-line del genere". Oggi intanto è stata un'altra giornata di intensi bombardamenti sul nord di Israele, mentre l'Idf ha affermato di aver colpito quelli che ha descritto come due avamposti di Hezbollah in Libano.

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