elezion in iran

In pochi alle urne, gli ayatollah rinviano la chiusura dei seggi

Primo voto dopo la morte di Mahsa. L'appello di Khamenei, che evoca complotti occidentali, non sortisce grandi effetti

Urne aperte a oltranza
(Keystone)

Non sembra sia servito l'appello della Guida suprema, Ali Khamenei, ad andare a votare in massa per "deludere i nemici". Gli iraniani, nelle prime elezioni dopo la morte di Masha Amini, hanno disertato le urne con un'affluenza che si profila molto bassa, tanto da indurre le autorità a posticipare di ora in ora la chiusura dei seggi.

I dati ufficiali non ci sono ancora e nessuno fa trapelare numeri sull'astensione ma sembra che questa tornata elettorale per il rinnovo del Parlamento e dell'Assemblea degli Esperti sia in linea con le precedenti urne di quattro anni fa quando si era registrato il dato più basso (42,5%) della storia della Repubblica islamica. "Gli occhi del mondo" sono puntati sull'Iran e la gente deve "fare felici gli amici e rendere delusi i malvagi", aveva detto Khamenei che, lasciando il seggio dopo aver votato nelle prime ore della giornata a Teheran, ha puntato il dito contro chi aveva chiesto di boicottare il voto.

Le voci di chi diserta le urne

Nei giorni scorsi, molti attivisti avevano invitato la popolazione di non partecipare alle elezioni, come segno di protesta per i problemi economici e politici ma anche per la dura repressione delle dimostrazioni dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne di origine curda che ha perso la vita dopo essere stata messa in custodia dalla polizia morale perché non portava correttamente il velo. Sonita ha 18 anni e avrebbe potuto oggi esercitare per la prima volta il suo diritto di voto ma, come la sua famiglia e i suoi amici, ha deciso di non recarsi ai seggi, in solidarietà con i parenti dei manifestanti uccisi durante le dimostrazioni per Mahsa del 2022, dove sono morte circa 500 persone, quasi 20mila dimostranti sono stati arrestati e la condanna a morte per 9 di loro è già stata eseguita. Lei non ha votato per protestare contro "la repressione del governo, la sua incompetenza e corruzione", ha raccontato all'Ansa.


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Donne al voto, rigorosamente col velo

I pro-regime

Secondo Davoud Manzour, vicepresidente e capo dell'Organizzazione per il bilancio e la pianificazione, la partecipazione al voto degli iraniani potrà invece andare a costituire un parlamento in grado di risolvere la crisi economica: "Le sanzioni (degli Usa) hanno creato problemi, ma l'amministrazione ha gestito la situazione facendo affidamento sulle capacità nazionali", ha sottolineato in un seggio nella capitale.

L'allarme lanciato dal governo per contrastare l'annunciata bassa affluenza e gli appelli al boicottaggio hanno reso queste elezioni un sorta di test per la legittimità della Repubblica islamica stessa. "È nostro dovere votare e, più di chi sarà eletto, ciò che conta è la partecipazione della gente, perché quest'anno le elezioni sono diventate una specie di referendum e una grande partecipazione rappresenta un grande ‘sì’ alla Repubblica islamica", ha detto all'Ansa, Mohammadbagher, studente di informatica, dopo avere votato a Teheran. "Mi aspetto che il parlamento approvi leggi severe sull'hijab, per contrastare le donne che non indossano il velo in pubblico", ha detto lo studente, sottolineando "la necessità del coinvolgimento dell'Iran in questioni regionali come la crisi di Gaza a il sostegno delle milizie appoggiate dall'Iran" nella regione, come ad esempio in Siria.


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Un uomo osserva i manifesti elettorali

I risultati rischiano di slittare

I risultati delle elezioni sono attesi per sabato ma, dopo il divieto a candidarsi imposto a molti politici riformisti, quello che si profila è un Parlamento ancora dominato da deputati ultraconservatori vicini al presidente Ebrahim Raisi, che già rappresentavano la maggioranza nell'assemblea parlamentare iraniana dopo le elezioni del 2020, con 227 deputati su 290 in totale. I conservatori potrebbero essere eletti in maggioranza anche nell'Assemblea degli Esperti formata da 88 membri, l'organo che ha il compito di nominare o eventualmente revocare il potere della Guida Suprema.

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