Estero

Sui marmi del Partenone lo scontro Londra-Atene resta granitico

Il premier britannico Sunak ha annullato l'incontro con l'omologo greco Mitsotakis che in un'intervista invocava la restituzione integrale dei reperti

I marmi contesi esposti al British Museum di Londra
(Keystone)
28 novembre 2023
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Cala il gelo tra Regno Unito e Grecia sulla diatriba di lunga data sui marmi del Partenone, mentre sembra allontanarsi ogni prospettiva negoziale imminente.

A rilanciare la querelle, sotto forma di scontro diplomatico in piena regola, è stato lo spettacolare fallimento della visita del primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis a Londra, sfociato nell'improvvisa decisione del collega Rishi Sunak – inedita anche dal punto di vista cerimoniale – di cancellare un faccia a faccia in agenda per oggi.

Tutto è nato da un'intervista alla Bbc dai toni rivendicativi rilasciata da Mitsotakis a margine del suo sbarco in riva al Tamigi domenica sera. Intervista a cui Sunak ha risposto annullando con brevissimo preavviso l'incontro a due che avrebbe dovuto coronare la visita, sbattendo di fatto la porta di Downing Street in faccia all'ospite.

Un vero e proprio schiaffo al quale il premier ellenico – "stupito e irritato" nelle parole del suo entourage – non ha potuto che rispondere ripartendo sdegnato (e con le pive nel sacco) per il suo Paese. Dopo aver prevedibilmente rifiutato l'umiliante offerta di Number 10 di un colloquio alternativo in extremis col vicepremier britannico Oliver Dowden.

A far da detonatore alla rottura tra i due leader – entrambi conservatori e alla guida di nazioni alleate nella Nato – sono stati gli accenti ultimativi dedicati da Mitsotakis sugli schermi della Bbc all'affaire dei preziosi marmi portati a Londra da Lord Elgin nell'800, al tempo dell'Impero britannico e grazie alla compiacenza degli ottomani, per essere poi acquisiti dal British Museum.

"Starebbero meglio nel Museo dell'Acropoli, non è questione di restituzione, le sculture appartengono alla Grecia e sono state rubate", ha tagliato corto al riguardo: "Avere alcuni pezzi del Partenone a Londra e il resto ad Atene è come tagliare a metà la Gioconda".

Affermazioni provocatorie rispetto al galateo d'un vertice fra alleati, nell'interpretazione isolana, e che hanno mandato su tutte le furie Sunak. Il quale ha dapprima ribadito seccamente attraverso un portavoce il tradizionale punto di vista del governo di Sua Maestà "contro la restituzione" di un patrimonio storico "acquisito legalmente" e vincolato per legge da una norma ad hoc approvata anni fa, il British Museum Act. Quindi ha portato l'escalation fino all'annullamento del bilaterale.

Un appuntamento in cui la delegazione greca "si era impegnata a non sollevare" la contesa – data l'attuale inconciliabilità delle rispettive posizioni ufficiali di principio – stando alla ricostruzione fornita da Downing Street: che accusa Atene di aver dunque violato non solo le buone maniere, ma anche il patto di concentrare prioritariamente il focus pubblico del summit saltato sulla discussione di gravi crisi internazionali come la guerra fra Russia e Ucraina o il conflitto israelo-palestinese.

Ricostruzione che peraltro Dimitris Tsiodras, capo ufficio stampa del premier greco, ha contestato in toto, sostenendo che non vi era stato alcun impegno, anzi era stata comunicata "chiaramente" l'intenzione di riproporre il dossier dei marmi e di continuare a farlo fino a una svolta futura, fidando su sponde evocate fra gli stessi britannici. Non senza bollare la revoca dell'invito come un fatto senza precedenti nelle relazioni tra "due Paesi amici": "Non è una cosa che si fa – la sua recriminazione –, stiamo cercando un precedente e non lo troviamo".

Il tutto in un clima di polemica alimentato pure dal meeting avuto viceversa da Mitsotakis, prima della cancellazione del rendez-vous col primo ministro, con il leader dell'opposizione laburista, Keir Starmer: a sua volta assertore dichiarato del no alla restituzione, ma critico verso "i patetici colpi di teatro" attribuiti alla reazione di Sunak.

Starmer al quale fonti Tory imputano ora un atteggiamento di "ingenuità" e opportunismo, se non d'intelligenza con lo straniero, su una faccenda quanto mai sensibile di politica estera, culturale e "d'interesse nazionale". Ma soprattutto infarcita di orgoglio patriottico contrapposto.

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