Estero

Ottant'anni fa l'orrore del rastrellamento del Ghetto di Roma

Nel 1943, il 16 ottobre, 1'259 ebrei furono trascinati a forza dalle loro case e inviati ai campi di concentramento: solo 16 sarebbero tornati

Il rastrellamento degli ebrei romani
(Foto: Web)
16 ottobre 2023
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All'alba del 16 ottobre del 1943, ottant'anni fa, l'orrore dello Shoah colpiva anche l'Italia, in cui la persecuzione degli ebrei fino a quel momento aveva assunto sostanzialmente le forme della segregazione con le infami leggi razziali del 1938, ma non aveva ancora vissuto la disumana brutalità delle deportazioni nei campi di concentramento nazisti.

Il rastrellamento degli ebrei italiani, deciso direttamente a Berlino da Heinrich Himmler e da questi comunicato a Kappler, fu preceduto, il 26 settembre, da un ultimatum da parte di quest'ultimo che, dietro la promessa dell'incolumità, imponeva alla comunità ebraica la consegna di almeno 50 kg d'oro entro trentasei ore, pena la deportazione. L'oro, faticosamente raccolto anche con l'aiuto del Vaticano, fu poi immediatamente inviato in Germania. Kappler depredò anche il Tempio Maggiore di manoscritti e altri materiali di inestimabile valore culturale, anch'essi spediti nel Reich.

Alle 5.30, per ordine del tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, comandante della Gestapo nella capitale, circa 400 uomini della polizia della Gemania nazista occupante entravano nel Ghetto ebraico di Roma dopo aver bloccato gli accessi. I nazisti andarono in modo mirato, avendo in mano gli elenchi nominativi degli ebrei forniti dalla Direzione generale per la demografia e la razza del regime fascista compilati dopo il censimento indetto nel 1938 dopo l'approvazione delle leggi razziali.

Bambini, donne, anziani vengono brutalmente strappati dalle loro case e radunati in Piazza del Portico d'Ottavia, là dove oggi una lapide ricorda quel giorno da allora ricordato come "Sabato Nero". Saranno in tutto 1'259 le persone rastrellate, alcune ancora con i vestiti per la notte, e caricate su camion militari per essere temporaneamente trattenute nella Scuola militare. Di loro, circa 237 furono poi rilasciati in quanto cittadini stranieri, o di "sangue misto" o coniugi di coppie miste, gli altri, 1'022 in tutto, partirono il 18 ottobre per il viaggio verso Auschwitz, dove, appena giunti dopo 4 giorni di viaggio nei vagoni piombati, 820 furono subito uccisi nelle camere a gas in quanto giudicati inabili al lavoro, gli altri furono smistati in altri campi di concentramento: di essi solo 16 persone, 15 uomini e una donna, fecero ritorno.

A far discutere, allora e negli anni seguenti, fu l'atteggiamento del Vaticano, con Pio XII che per lungo tempo venne accusato di passività, se non di complice silenzio. Solo recentemente alcuni documenti venuti alla luce hanno dimostrato che il Pontefice non solo sapeva dell'esistenza dei campi di sterminio, ma si era adoperato per salvare quanti più ebrei possibile, attivandosi, successivamente al rastrellamento, per ottenere la liberazione di alcuni di essi e, successivamente, nel timore di un nuovo raid, inviando una lettera riservata agli ecclesiastici in cui si chiedeva di tenere aperti conventi e istituti religiosi per accogliere i fuggitivi. Sarebbero in tutto circa 15'000 gli ebrei scampati alla persecuzione per intervento diretto di Pio XII, centinaia dei quali nascosti nei conventi.

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