norvegia

La vittoria delle renne contro le pale eoliche

L’Alta corte di Oslo decreta l’irregolarità di un progetto che coinvolge due gruppi svizzeri: ‘L’impianto distrugge i pascoli e la vita del popolo sami’

Un pastore sami con una renna (Keystone)
12 ottobre 2021
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“Riges ij suáláád, mut váldá” recita un vecchio proverbio lappone: il ricco non ruba, semplicemente prende.
Sono lì da chissà quanto, i sami, talmente tanto che nemmeno si sa con esattezza, ma di ricchi - nell’arco dei secoli - ne avranno visti passare tanti. Il primo a parlare di loro fu lo storico bizantino Procopio di Cesarea, che li citò nella sua “Storia delle guerre”, era il 551 dopo Cristo. Come tutti i popoli del nord di loro non si sa mai abbastanza, sono ambigui e sfuggenti come la neve che gli fa da sfondo. Quello che si sa, questa volta, è che i ricchi che avevano rubato - pardon, preso - le loro terre, questa volta dovranno restituirle.

L’Alta corte norvegese ha infatti fermato un controverso progetto eolico sulla penisola di Fosen, nell’ovest del Paese scandinavo, in cui sono coinvolti anche il gruppo energetico bernese Bkw (con una quota dell’11%) e - come finanziatore - Credit Suisse. Il tribunale ha dichiarato non valida la licenza di costruzione di due parchi da 151 turbine alte fino a 80 metri e il permesso di espropriazione della terra smentendo le autorità norvegesi, che avevano concesso il via libera dopo un lungo iter di approvazione: in funzione dal 2010, l’impianto ha raggiunto la piena attività solamente nell’agosto di quest’anno: non senza polemiche. Proprio la pressione delle associazioni che hanno difeso il popolo sami avevano portato gli svizzeri di Bkw a impegnarsi da un punto di vista sociale, con l’inserimento di clausole rescissorie nei contratti in caso una società partner violasse i diritti umani.


Il parco eolico di Fosen (Bkw)

Sembrava troppo tardi per salvare la comunità sami locale (circa mille persone su una popolazione totale di 80-100 mila, sparsa tra la Norvegia, la Svezia, la Finlandia e la Russia), ma almeno un segnale incoraggiante per il futuro, un primo impegno da parte di una grande azienda che avrebbe fatto da buon esempio e apripista per altri. Invece la tattica del “faremo i buoni la prossima volta non ha funzionato”. Per la corte norvegese l’intero progetto ha violato i diritti delle comunità sami del sud, ha fatto sapere Apm (l’Associazione per i popoli minacciati), che aveva presentato ricorso.

A rischio c’erano diversi pascoli invernali destinati alle renne, in particolare quello di Storheia, il più grande tra quelli utilizzati dalla comunità di allevatori. Stando a quanto deciso dal tribunale, il progetto rendeva inutilizzabile quasi metà dei pascoli, una perdita enorme per chi, di fatto, campa esclusivamente di quello, vendendo pelli e carni. Una situazione che, nel giro di pochi anni, avrebbe portato all’estinzione un modo di vivere che era rimasto uguale a se stesso per secoli.

A colpire ulteriormente è il fatto che l’intero progetto riguardasse soluzione ecosostenibili, visto che si trattava di energia eolica. Ma per i sami, per chi li ha difesi e per i giudici norvegesi, il fatto di creare energie da fonti rinnovabili non è un motivo sufficiente nobile per mettere a repentaglio il sostentamento di un’intera popolazione.

I giudici questo lo hanno voluto mettere per iscritto, rilevando una violazione del patto internazionale dell’Onu sui diritti civili e politici. Secondo l’articolo 27 del trattato “non deve essere in alcun modo negato il diritto delle minoranze etniche di godere della propria cultura, professare e praticare la propria religione e usare la propria lingua”. Facendo finta di nulla, quella cultura – almeno in quell’area – sarebbe scomparsa.
“La loro costruzione è stata dichiarata illegale, pertanto lo sarebbe anche continuare a gestirle senza subire ripercussioni”, aveva detto Andreas Bronner, rappresentante dei pastori, alla vigilia del verdetto. Aveva ragione lui.


Una protesta in Svizzera, nel 2018, contro il progetto norvegese (Keystone)

La popolazione sami era riuscita con il tempo a ottenere riconoscimenti impensabili fino agli anni Settanta, con la nascita di parlamenti locali in Finlandia, Svezia e Norvegia, una bandiera e anche un inno. Tuttavia lo sfruttamento delle terre li stava mettendo all’angolo: negli ultimi decenni nella loro regione sono stati tagliati così tanti alberi che oggi restano soltanto delle piccole aree di foresta naturale. Una trasformazione che ha ridotto del 70 per cento i licheni di cui si nutrono le renne. Come se non bastasse, le aziende di legname stanno piantando una specie di pino fitta e invasiva, attraverso cui le renne non riescono a passare. E tutto quel che accade alle renne colpisce direttamente anche i sami, che vivono in simbiosi con loro, dipendendo l’uno dall’altro in egual misura. Questa vittoria in tribunale dà qualche speranza, ma le aziende coinvolte difficilmente resteranno a guardare. I sami hanno una frase che ben si adatta anche a questo: “Kuumpi tuárvi ij lah kuássin”. L’abbastanza del lupo non è mai abbastanza.

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