Estero

Conte si salva con 156 voti, il governo italiano tiene

Mancata la maggioranza assoluta, il premier viene attaccato sia da Renzi che dai leader della destra che invocano dimissioni

(Keystone)
19 gennaio 2021
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Roma - Il Conte dimezzato resta in sella nonostante il tentativo del leader di Italia Viva, Matteo Renzi, di far cadere il governo. Una maggioranza risicata, quella ottenuta dal Presidente del consiglio italiano in carica, che con 156 favorevoli (140 no e 16 astenuti) resta al di sotto della soglia dei 161 voti. E tante incognite per il futuro, anche a breve termine. Conte si è dovuto accontentare della maggioranza relativa, portando a casa il sostegno di alcuni senatori a vita come l'ex premier Mario Monti e dei cosiddetti "costruttori", senatori del gruppo misto, ovvero svincolati dalle dinamiche di partito, oppure da chi ha preferito sfidare gli ordini di scuderia pur di lasciare Conte al suo posto, arrivando - in due casi (Forza Italia) - perfino all'espulsione dal partito. Per ottenere la fiducia serviva avere la metà più uno dei votanti: e così è stato. Un governo di fatto appeso a un filo, che nella giornata decisiva ha visto il solito balletto con tentennamenti, abboccamenti e scambi d'accuse reciproche tra Conte e suoi due rivali più battaglieri e riconoscibili, entrambi ex alleati il leader della Lega Matteo Salvini e quello di Italia Viva Matteo Renzi.

La tenuta dell'esecutivo italiano verrà subito collaudata nei prossimi giorni con il voto sullo scostamento di bilancio, dove, per passare, è necessaria la maggioranza assoluta, vale a dire quei 161 voti da cui Conte ieri è rimasto lontano, seppur per un pugno di schede. A meno di clamorosi ribaltoni, tutto dovrebbe filare liscio, almeno in quella occasione, considerando che Italia Viva ha già garantito il suo sostegno. Il resto è tutto da scrivere, perché Conte rimane sì al suo posto, ma la sua poltrona è tutt'altro che salda.

Le trattative frenetiche per portare il più vicino possibile Conte a questo Everest parlamentare in quota 161 si sono fatte, come sempre, nelle retrovie. In primo piano sono rimasti i due uomini sotto i riflettori da giorni, l'uomo pronto a tutto pur di non mollare la sua carica e quello che aveva deciso di staccare la spina. Matteo Renzi non si è certo trattenuto durante il suo discorso in aula, a tal punto da far temere alcuni osservatori che i senatori del suo partito potessero votare contro, anziché astenersi, rendendo a quel punto impossibile o quasi il salvataggio di Conte. "Noi pensiamo che il suo governo non sia il più bello o il migliore del mondo" e "lei ha cambiato tre maggioranze per rimanere dove è. Ha avuto paura di salire al Quirinale e rassegnare le dimissioni, perché ha scelto un arrocco che farà comodo a lei, ma certo non alle istituzioni". Invece "ora o mai più" bisognava scegliere, "fare un passo in avanti" invece di "preoccuparsi di piazzare qualcuno al posto giusto o garantire qualche poltrona". Un Renzi che ne ha per tutti, anche per gli ex colleghi del Pd. L'unica mano tesa arriva alla fine del discorso: "Non avrete 161 voti, ma vi auguro di avere una maggioranza. Che sia raccogliticcia è sicuro, perché dovete fare presto".

Conte parla a lungo, oltre un'ora, non nomina mai Renzi, né il suo partito, ma fa abbondantemente capire con chi ce l'ha: "Trovo molto complicato governare con chi dissemina mine. Con chi ti accusa di immobilismo e di correre troppo, di non decidere e di decidere troppo. Qui, in un momento decisivo per il futuro del Paese, c'è chi ha scelto la strada dell'aggressione". Le bordate per il premier però arrivano da tutte le parti, anche - o forse soprattutto - da destra. Giorgia Meloni di Fratelli d'Italia e il leghista Salvini sanno che i sondaggi sono dalla loro parte e in caso di un ritorno alle urne, il Paese li premierebbe con uno scarto consistente. Anche per questo invocano le dimissioni prima, durante e anche dopo il voto. Salvini, con la ruvidezza che lo contraddistingue, nell'attaccare i Cinque Stelle al governo finisce per coinvolgere i senatori a vita accorsi a salvare Conte: "Ricordo ai senatori a vita che legittimamente voteranno la fiducia, cosa diceva il leader dei Cinque Stelle su di loro, 'non muoiono mai, o almeno muoiono troppo tardi', che coraggio che avete...". Da lì urla e dissensi che hanno portato il presidente del Senato Casellati a richiamare il leader della Lega definendo le sue parole "irrispettose".

C'è stato infine spazio per un finale thrilling, con due senatori che non avevano risposto alle prime due chiamate, l'ex grillino Alfonso Ciampolillo e il fuoriuscito di Italia Viva Stefano Nencini, è solo grazie a loro, e sul filo di lana, che Conte ha potuto tirare un sospiro di sollievo. In molti, fuori e dentro i palazzi che contano, garantivano che sotto i 153 voti, il governo avrebbe traballato abbastanza da, infine, crollare. Reggersi su stampelle così fragili non sarà semplice, e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo sa bene. L'opzione Mario Draghi, per il dopo Conte, resta in piedi. Ma il premier dimostra di avere se non sette vite come i gatti, almeno tre. E chissà quante altre ancora.  

 

 

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