Estero

La storia dei Saharawi, spiegata da chi li difende

Quella del Sahara occidentale è una storia poco conosciuta. C'entrano l'oppressione da parte del Marocco e le complicità europee

Un piccolo lembo di terra escluso da tutto - infografica: laRegione - immagine: Keystone
9 gennaio 2021
|

È una storia poco nota, quella del popolo Saharawi. Sarà che sono lontani, sarà che nel loro caso soprusi e torture avvengono un po’ alla volta, in uno stillicidio d’oltraggi, qualcosa di poco fotogenico che non attira la nostra già fugace attenzione come i massacri in grande stile.

Di cosa parliamo? Intanto, la geografia: il Sahara occidentale è incuneato tra l’Oceano Atlantico a ovest, la Mauritania e una virgola d’Algeria a est e il bellicoso Marocco a nord. Quei due terzi di territorio che buttano su coste pescose e sono ricchi di metalli preziosi sono occupati dagli stivali marocchini. Al popolo Saharawi – nomade prima di trovarsi bloccato, diviso in clan etnici refrattari a ogni potere centrale – resta un piccolo lembo di terra escluso da tutto. Protagonista d’una sanguinosa guerra di resistenza durata dal 1975 al 1991 e di un’indipendenza negata, il loro destino pare rinchiuso nelle tende dei campi di rifugiati, dove abitano oltre 170mila persone. Degli altri tre milioni, la maggior parte ha seguito il cammino della diaspora regionale e globale.

In novembre gli scontri tra il Fronte Polisario – dall’abbreviazione spagnola di Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro – e l’esercito marocchino hanno registrato nuove fiammate. Il Fronte ha occupato l’unica strada asfaltata che dall’Atlantico conduce alla Mauritania: un passaggio illegale, che non rispetta gli accordi di cessate il fuoco, attraverso il quale transitano tonnellate di cannabis che poi arrivano in Europa e le risorse naturali estratte dal territorio occupato. Per non lasciar perdurare una situazione pericolosa sul piano politico, l’esercito di Rabat ha risposto col fuoco dei blindati. Nel frattempo l’amministrazione Trump ha riconosciuto i diritti del Marocco sul Sahara occidentale, in cambio di una distensione tra il Paese e Gerusalemme.

Per capirci qualcosa ne parliamo con Gianfranco Fattorini, coordinatore del Gruppo di Ginevra per la protezione e la promozione dei diritti umani nel Sahara occidentale, 260 organizzazioni affiliate attorno al mondo.

come siamo arrivati fin qui?

Prendendola da lontano, si può dire che il conflitto tra Saharawi e Marocco inizia con la decolonizzazione. Fu la Spagna che sul finire dell’epoca franchista abbandonò il Sahara occidentale nelle mani di Rabat, venendo meno al mandato che le aveva affidato l’Assemblea generale dell’Onu. E così, per una sorta di perversa proprietà transitiva, negli anni ’70 il colonialismo è passato dal colonizzatore al colonizzato: ora la forza occupante è il Marocco, che cova da sempre velleità espansionistiche, basti pensare che in arabo il suo nome è Maghreb. Così i Saharawi si sono trovati separati da una muraglia di sabbia e cemento e da milioni di mine antiuomo che ancor oggi provocano feriti e morti. Da una parte, la gran maggioranza della popolazione vive sotto occupazione, discriminata sul piano socioeconomico, e subisce da 45 anni una violazione sistematica dei suoi diritti fondamentali; dall’altra, 176mila saharawi sono confinati da tre o quattro generazioni nei campi profughi situati nel Sahara algerino.

di Gdem Izik, che è ripartito il confronto.

Alcuni lo considerano come la premessa della primavera araba: il campo fu eretto a 15 chilometri da Laâyoune, capitale del Sahara occidentale sotto occupazione, a inizio ottobre 2010, e accolse 20mila saharawi che intendevano cosí protestare in modo pacifico contro l’occupazione marocchina. Occupazione iniziata con la Marcia Verde del 6 novembre 1975: una pseudomanifestazione organizzata dal Marocco nella quale 350mila marocchini, parecchi dei quali galeotti appositamente liberati, furono guidati dall’esercito nel Sahara occidentale per approfittare dell’imminente ritiro dal territorio da parte della Spagna. Il campo del 2010 fu smantellato l’8 novembre di quell’anno dando fuoco alle tende, cacciando gli occupanti e arrestando centinaia di persone mai sottoposte a processi regolari, bensì a torture e giudizi sommari. I fatti di novembre scaturiscono simbolicamente dalla memoria del decennale.

Eppure la guerra tra Marocco e Saharawi, iniziata proprio nel 1975, dopo avere causato decine di migliaia di morti è finita nel 1991. Da allora l’Onu stessa si è impegnata a garantire una transizione verso l’indipendenza. Cosa si è inceppato?

In effetti un cessate il fuoco é entrato in vigore nel 1991, a partire dal momento in cui fu dispiegata la missione dell’Onu incaricata di organizzare il referendum di autodeterminazione entro il mese di giugno 1992. In realtà, il Marocco non è mai stato disposto a concedere un regolare referendum e ha usato qualsiasi mezzo per impedirlo. Questa linea dura il Marocco può mantenerla grazie alla complicità delle potenze occidentali: la Spagna, ancora legata a Rabat da forti interessi economici e commerciali, oltre che dalla volontà di vedere limitato il flusso migratorio; ma anche la Francia, che mantiene legami economici con la regione e che considera la monarchia marocchina come alleata fedele nell’aprirle diversi spazi africani. Alcune personalità coinvolte nel dialogo diplomatico si sono adoperate per offrire una soluzione: penso al Segretario di Stato di George Bush Senior, James Baker, all’allora ambasciatore Usa in Algeria Christopher Ross, e più di recente all’ex presidente tedesco Horst Köhler. Ma il gioco delle grandi potenze ha bloccato tutto. È legittimo che i Saharawi manifestino la loro frustrazione e la loro collera.

Quindi ricomincerà la guerra?

La guerra purtroppo é già ricominciata, e putroppo sono i saharawi piú pacifici, difensori dei diritti umani e giornalisti che vivono sotto occupazione che ne subiscono le conseguenze piú dolorose, poiché sono vittime di arresti arbitrari e torture. Ci si deve augurare che a livello di Onu si offra una rapida via d’uscita, nel rispetto del diritto internazionale e dei diritti inalienabli del popolo saharawi. Oggi, alla direzione del Fronte Polisario non c’è solo quella generazione che la guerra l’ha già vissuta in prima persona. Ci sono anche figli e nipoti, nati nei campi dei rifugiati, giovani formati magari a Madrid e a Parigi, che hanno vissuto la realtà della diaspora, che hanno coltivato e coltivano ancora l’idea di una rivendicazione pacifica dei loro diritti, ma che allo stesso tempo non accettano l’idea di vedere un’altra loro generazione ‘parcheggiata’ nel deserto algerino.

C’è il rischio di un dirottamento del conflitto, ad esempio da parte dello Stato islamico?

L’Islam dei Saharawi è molto ‘fluido’, poco esposto a un’estremizzazione dall’interno. Semmai è possibile che delle milizie islamiste approfittino di una destabilizzazione dell’area per incunearsi autonomamente nel conflitto.

Come interpretare il recente riconoscimento della sovranità marocchina sul Sahara occidentale da parte del presidente Trump?

Questa è forse l’ultima manifestazione dell’ignoranza di Trump in materia di diritto internazionale e del suo disprezzo per i popoli oppressi. Questo riconoscimento è il prezzo che il re del Marocco Mohamed VI gli ha fatto pagare per accettare la normalizzazione ufficiale dei rapporti tra il Marocco e Israele; non ha alcuna valenza giuridica, a parte l'eventuale qualifica di complicità per crimini di guerra e contro l'umanità, tenendo anche conto del fatto che gli Usa forniscono circa il 90% degli armamenti marocchini.

Cosa può fare l’Europa?

Anzitutto smetterla di fare il gioco del Marocco, col quale è stato da poco stipulato un accordo di agevolazioni doganali, in contraddizione con la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea: nel 2018, la Corte aveva già stabilito che qualsiasi attività industriale o commerciale nel Sahara occidentale doveva essere approvata dai rappresentanti del popolo Saharawi, il Fronte Polisario. Infatti, il Sahara occidentale é considerato dall’Onu Territorio non autonomo, avente uno statuto giuridico separato e distinto, sul quale il Marocco non ha alcuna sovranità territoriale. Il tentativo di aggirare quanto stabilito dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea costituisce allo stesso tempo una manifestazione di disprezzo da parte delle democrazie occidentali verso il popolo Saharawi e una minaccia per una soluzione pacifica del conflitto.

L’atteggiamento dello struzzo, par di capire.

La questione del Sahara Occidentale è un esempio illuminante della schizofrenia che si può osservare all’interno del sistema Onu, dove degli organi composti da esperti indipendenti – specie nel campo del diritto – dispongono ciò che tale diritto stabilisce a livello internazionale; ma poi gli Stati prendono delle decisioni a margine e perfino al di là di quelle disposizioni, pur di soddisfare interessi geopolitici di campanile. Lo scontro non finirà finché non si impegneranno tutti a garantire un referendum regolare e libero, finché non si riconoscerà una volta per tutte ai Saharawi il diritto inalienabile all’autodeterminazione.

LA TESTIMONIANZA

‘C’è un 14,5% di bambini malnutriti’

«I Saharawi sono un popolo orgoglioso, che vive nel sogno di poter tornare nella propria terra. La loro forza di volontà è indescrivibile, proprio come lo è la loro semplicità e ospitalità. Sono aperti alle altre culture e il loro Islam non comporta imposizioni al prossimo. Ma il loro mondo oggi è confinato nei campi per rifugiati». Carla (il vero nome è noto alla redazione) sa bene di cosa parla: è la compagna di un importante funzionario Saharawi in esilio, che opera a partire dei campi di rifugiati per garantire loro condizioni di vita dignitose. «Grazie agli aiuti di molte ong e governi, hanno la possibilità di vivere in modo accettabile, frequentare le scuole e imparare l’arabo e lo spagnolo oltre all’hassanya, la lingua saharawi; in seguito, chi vuole proseguire gli studi dovrà recarsi in paesi legati ai Saharawi fin dai tempi della Guerra fredda, come Cuba, Russia e Venezuela. D’altronde, oggi con internet i giovani sono confrontati con il mondo esterno e questo aumenta la loro frustrazione, la claustrofobia dell’essere costretti a non far niente e non avere sbocchi». E poi ci sono i problemi materiali: «Le condizioni non sono quelle degli immensi campi etiopi in Kenya, ma comunque c’è un 14,5% di bambini malnutriti». Il Marocco ritiene il Fronte Polisario un gruppo terroristico: «Ma è solo propaganda», spiega Carla. «Il loro scopo non è quello di compiere atti terroristici e neppure di organizzare la guerriglia». Il suo compagno è fra coloro che lavorano per il riconoscimento internazionale, accordato da un’ottantina di paesi, ma non dalla Svizzera e dall’Europa, eccetto Svezia, Danimarca e Norvegia. «A bloccare il processo è soprattutto la Francia, che per salvaguardare il commercio col Marocco osa fare qualsiasi cosa. Sfrutta anche il diritto di veto al Consiglio di Sicurezza Onu. La missione Onu nel Sahara occidentale è da 29 anni organizzare il referendum per l’autodeterminazione. Nel frattempo sperpera 60 milioni di dollari ogni anno». È per una soluzione che lotta il suo compagno, per il quale «casa è il posto dove appoggia la valigia». In vent’anni, il soggiorno più lungo trascorso con Carla è stato di 16 giorni. Anche questa è la diaspora.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE