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Indagine ‘Cavalli di razza’, ‘imprenditoria non solo vittima’

Le pagine delle motivazioni della sentenza restituiscono una nuova chiave di lettura per spiegare il radicamento della ’ndrangheta in Lombardia

Pene complessive per quasi un secolo di carcere per le presunte infiltrazioni della ’ndrangheta nel Comasco
(Ti-Press)
3 novembre 2023
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“Un’imprenditoria che non si limita a subire la ’ndrangheta, ma si pone in affari con la stessa, spesso prendendo l’iniziativa per il contatto con la criminalità organizzata e ricavandone, seppur solo momentaneamente, vantaggi”. Le oltre trecento pagine delle motivazioni della sentenza di primo grado del Tribunale di Como dello scorso 27 aprile per il processo nato dall’indagine ‘Cavalli di razza’ restituiscono una nuova chiave di lettura per spiegare il radicamento della ’ndrangheta in Lombardia. Un radicamento molto accentuato in particolare nella provincia di Como, con tentacoli ormai conclamati anche in Svizzera, e soprattutto in Canton Ticino. Come confermato dalle numerose inchieste della Dda, la Direzione distrettuale antimafia, di Milano.

Pene complessive per quasi un secolo di carcere

Il Tribunale collegiale, presieduto da Valeria Costi, ha pronunciato una sentenza con otto condanne e tre assoluzioni. Pene complessive per quasi un secolo di carcere per le presunte infiltrazioni della ’ndrangheta nel Comasco. I magistrati antimafia Pasquale Addesso e Sara Ombra avevano chiesto condanne complessive per 182 anni per tutti gli undici imputati. Per gli otto condannati le pene vanno da un massimo di sedici anni e dieci mesi a un minimo di cinque anni. Il processo a Milano con rito abbreviato, per il filone legato soprattutto al traffico internazionale di cocaina, aveva già portato a trentaquattro condanne per un totale di oltre duecento anni.

‘Dal Ticino i capitali per finanziare gli affari sporchi’

Il processo celebrato a Como si è concentrato sui collegamenti di ’ndranghetisti e il mondo degli affari. Uno spaccato sempre più inquietante, dovuto anche alla vicinanza del Canton Ticino, da dove secondo gli inquirenti arriverebbero i capitali per finanziare gli affari sporchi. “Il superamento della logica dell’infiltrazione mafiosa a favore del vero e proprio radicamento della ’ndrangheta in Lombardia – si legge nelle motivazioni della sentenza del Tribunale di Como – è stato senz’altro determinato, o quantomeno agevolato, dal territorio fertile offerto dal mondo imprenditoriale, politico e professionale locale, resosi disponibile, talora piuttosto sprovvedutamente, talaltra con malaccorta avidità a entrare in rapporti di reciproca convenienza con il sodalizio mafioso”. “Sfatato il falso mito della ’ndrangheta che, come un male serpeggiante, si infiltra in un tessuto economico sano contaminandolo – mettono nero su bianco i giudici lariani –. La realtà restituita dal presente processo è quella di un’imprenditoria che si mette in affari con la criminalità organizzata”. Nonostante quella che viene definita ‘pulsione opportunistica’, secondo il Tribunale di Como resta comunque “l’effetto di assoggettamento, di supina accondiscendenza a fronte dell’incalzare smodato delle pretese, di omertà che la forza intimidatoria esercitata dagli estorsori sortisce. La carica intimidatoria è emersa dal tenore delle disposizioni dei testimoni”.

I rapporti della ’ndrina di Fino Mornasco con alcuni cantoni svizzeri

Ampio spazio è dedicato dai giudici di Como anche ai rapporti della ’ndrina di Fino Mornasco (“Uno dei più fulgidi esempi di comunità mafiosa al Nord Italia”, secondo quanto scritto da Ilda Boccassini in occasione dell’inchiesta Insubria, che confermò il radicamento della ’ndrangheta in Ticino) con alcuni cantoni svizzeri, soprattutto Zurigo, dove “almeno undici uomini della malavita erano attivi, con i classici poteri di intimidazione e del controllo del territorio”. Attivi nelle estorsioni, ma soprattutto nello spaccio di cocaina, i cui proventi hanno finanziato un traffico di armi dalla Svizzera alla Calabria.

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