Economia

‘La grandezza di Ubs? Un punto di forza per le ditte elvetiche’

Per il presidente della direzione dell'Associazione svizzera dei banchieri Roman Studer, gli svizzeri non devono temere le dimensioni del colosso bancario

In sintesi:
  • Per Studer non avere un grande istituto elvetico sarebbe una grande perdita per le aziende
  • Il direttore di Asb rivendica la politica di tolleranza zero nei confronti dei soldi neri
‘Il problema non è quello’
(Keystone)
13 settembre 2023
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Gli svizzeri non devono temere la grandezza di Ubs: al contrario, avere in casa un istituto di respiro internazionale rappresenta un punto di forza per le aziende elvetiche. Lo sostiene Roman Studer, presidente della direzione dell'Associazione svizzera dei banchieri, che respinge anche le critiche provenienti dall'estero relative ai soldi dei cosiddetti oligarchi.

«Capisco le preoccupazioni e la paura circa la grandezza», afferma il 46enne in un'intervista pubblicata dalla Neue Zürcher Zeitung (Nzz), commentando la somma di bilancio di Ubs, che è grossomodo il doppio del prodotto interno lordo (Pil) annuale elvetico, un rapporto che non si registra altrove nel mondo. «Allo stesso tempo, non è la discussione giusta – aggiunge –. Da sole le dimensioni non sono decisive. In primo luogo Ubs era molto più grande durante la crisi finanziaria e ora è molto più piccola. Secondariamente non sono unicamente le dimensioni a contare, ma anche i rischi e, soprattutto, il modo in cui vengono gestiti».

«Avere una grande banca internazionale in Svizzera è molto utile, soprattutto per le imprese che operano a livello internazionale», afferma l'esperto che ha assunto la guida di Associazione svizzera dei banchieri il primo agosto, dopo essere stato in precedenza capo-lobbista proprio presso Ubs. «Abbiamo avuto molte discussioni con rappresentanti di altri settori e vediamo confermata la nostra opinione. Il sostegno di un'azienda da parte di una grande banca nazionale nei mercati lontani è fondamentale. Se non avessimo più un grande istituto elvetico le imprese svizzere avrebbero ancora bisogno di questi servizi: tuttavia non potrebbero più ottenerli da una banca svizzera. Sarebbe una grande perdita».

«Sembra banale, ma la lingua comune è importante – argomenta Studer –. Le banche svizzere sono più vicine alle aziende locali e ne comprendono meglio la situazione. Questo crea fiducia, che nel settore bancario è fondamentale». L'intervistato ammette peraltro che l'immagine pubblica delle banche ha sofferto nella Confederazione a causa dell'acquisizione forzata di Credit Suisse da parte di Ubs. «Ma c'è una discrepanza con la percezione reale da parte dei clienti finali: la fiducia dei clienti rimane alta. Sono soddisfatti delle loro banche».

A livello internazionale – osservano i giornalisti della Nzz –, le società elvetiche hanno però ancora la reputazione di accettare denaro di dubbia provenienza, nonostante lo scambio automatico di informazioni sia in vigore ormai da un decennio. «Una cosa è certa: perseguiamo una strategia di tolleranza zero nei confronti dei soldi neri – risponde l'intervistato –. La lotta al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo è in cima alle nostre priorità. Il Consiglio federale ha appena avviato il processo di consultazione per una modifica della legge sul riciclaggio di denaro e noi la sosteniamo. Ci sono ancora delle lacune da colmare, soprattutto per quanto riguarda i consulenti e gli avvocati».

Riguardo all'aumento della pressione politica, in particolare da parte degli Stati Uniti, in relazione agli averi dei cosiddetti oligarchi russi, Studer ammette problemi di comunicazione, in particolare quando è stato diffuso il dato di 150-200 miliardi di franchi appartenenti a russi e amministrati in Svizzera. «Ma da questa cifra non si può capire quanto la Svizzera sia restrittiva in materia di sanzioni, perché comprende anche cittadini russi che non sono nemmeno nel mirino. Ad esempio, sono compresi anche i russi che sono cresciuti in Svizzera, che hanno diversi passaporti o un permesso di soggiorno».

Le pressioni in questo ambito sono «spiacevoli e le accuse sono anche fuorvianti: bisogna affrontarle e svolgere un lavoro di spiegazione», continua l'esperto. A suo avviso non bisogna nemmeno farsi illusioni. «Molte persone conoscono i fatti. Ci sono molti calcoli politici in gioco. E gli interessi dei centri finanziari». Come piccolo Paese la Confederazione si trova rapidamente sotto pressione.

«Assistiamo a un processo in cui la comunità internazionale si sta allontanando sempre più da un sistema libero e basato su regole: al contrario, le tensioni sono aumentate e si formano dei blocchi», sostiene lo specialista con laurea in storia dell'economia all'Università di Zurigo. «Il fatto che la situazione sia difficile per un attore piccolo e neutrale e che i tentativi di pressione arrivino da tutte le parti è qualcosa a cui purtroppo dobbiamo adattarci. È spiacevole, ma dobbiamo comunque posizionarci chiaramente come piccolo Paese molto orientato alle esportazioni».

Il Consiglio federale – ricordano i cronisti della testata zurighese – non intende però partecipare alla task-force (gruppo di lavoro) internazionale istituita dai Paesi del G7 volta a rintracciare i fondi degli oligarchi russi. «Le banche svizzere applicano coerentemente le sanzioni coordinate a livello internazionale – afferma a questo proposito Studer –. Dal punto di vista dell'Associazione dei banchieri, vedo poche ragioni contrarie all'adesione. Negli ultimi mesi abbiamo sempre espresso questo punto di vista nei colloqui diretti con le parti interessate».

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