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Quando il teatro porta Marx in una fabbrica occupata

Il drammaturgo, regista e attore Nicola Borghesi presenta ‘Il Capitale – un libro che ancora non abbiamo letto’, al Foce di Lugano mercoledì 6 marzo

Il Capitale (foto Luca Del Pia)

Cosa succede quando un classico della filosofia, scritto nella seconda metà del 1800, incontra il teatro contemporaneo e, attraverso un gruppo di metalmeccanici di una fabbrica occupata, viene messo in scena? Succede che il classico, in questo caso ‘Il Capitale’ di Karl Marx, risulta oggi più attuale che mai. Ne è prova lo spettacolo ‘Il Capitale – un libro che ancora non abbiamo letto’ della compagnia Kepler-452, vincitore Premio Speciale UBU nel 2023 e in scena domani, mercoledì 6 marzo, al Teatro Foce all’interno del focus “Nell’occhio della storia” di questa stagione del Lac.

È il mattino del 9 luglio 2021 quando a Campi Bisenzio, comune vicino a Firenze, 422 operai della Gkn, un’azienda che produce pezzi d’auto, ricevono una mail: la fabbrica dove hanno prestato servizio per anni chiude i battenti. Non è necessario che si rechino al lavoro, anzi proprio non ci devono più tornare. 422 famiglie senza sostentamento dall’oggi al domani. Ma la storia che stiamo scrivendo racconta un’azione importante. I lavoratori ci tornano, in fabbrica. E di fronte agli agenti di sicurezza pronti a rimbalzarli si fanno largo ed entrano nello stabilimento della Gkn: lo occupano, fondano un collettivo per impedire che la fabbrica venga smantellata e fermare il loro licenziamento.

Nello stesso periodo, Enrico Baraldi e Nicola Borghesi decidono di scrivere uno spettacolo legato al ‘Capitale’, un libro che effettivamente non hanno ancora letto. Loro sono tra i fondatori di Kepler-452, compagnia nata nel 2015 a Bologna. Il teatro che fanno è civile, sono spinti da un’urgenza: uscire e raccontare la realtà attraverso la lente drammaturgica per riportarla in scena. Il fatto è che spesso, la realtà, è già iscritta in una drammaturgia incredibile, basta solo riorganizzarla per poterla portare sul palco.

Cercando per l’Italia un luogo dove le pagine di Marx avrebbero potuto diventare persone e accadimenti, Baraldi e Borghesi arrivano alla fabbrica di Campi Bisenzio. E ci restano. Intervistano centinaia di operai, partecipano a picchetti, assemblee, manifestazioni, ascoltano e osservano, e cercano di tornare alle pagine di Marx per creare un dialogo. ‘Il capitale’ è diventato così uno spettacolo con, in scena insieme agli attori, anche quattro membri del Collettivo di fabbrica. Ne abbiamo parlato con il drammaturgo, regista e attore Nicola Borghesi.

Cosa racconta oggi ‘Il Capitale – un libro che ancora non abbiamo letto’?

Conoscere gli operai metalmeccanici, approfondire le pratiche di produzione e parallelamente leggere ‘Il Capitale’ è stato rivelatore! Marx racconta le dinamiche di un mondo che non funziona: il mondo capitalistico, quello in cui ancora oggi viviamo. L’analisi è del tutto attuale. Sono mutati alcuni elementi esterni, ma il modo con cui funziona il modello economico e la convivenza umana è quello. Nello spettacolo in realtà raccontiamo uno dei pochi posti in cui il capitale si è per qualche tempo allontanato, la fabbrica Gkn. E con la sua sparizione scopriamo cose nuove: cosa c’è oltre, e a parte, il capitale.

Come nasce l’idea?

È il frutto di una promessa che ci siamo fatti, maturata durante il lockdown, periodo interessante e fertile per il pensiero e la realizzazione artistica. C’è questa idea secondo la quale una certa Storia è finita con la pax americana, con la scomparsa del blocco orientale. In realtà abbiamo percepito che la storia non è finita ma è ancora in marcia e quindi dovevamo cercare di avere anche noi un ruolo, piccolo, da teatranti. ‘Il Capitale’ ci sembrava il libro giusto. Abbiamo frequentato diversi ambiti di lotta poi ci siamo fermati.

Alla Gkn…

Il 18 settembre 2021 c’è stata a Firenze una manifestazione del Collettivo di fabbrica. Abbiamo percepito qualcosa di diverso, in quel gruppo c’era un’intersezione potente tra la storia del Movimento italiano (la Fiat, le lotte sindacali degli anni Settanta, la sconfitta dell’80-81) ma era declinata in un modo del tutto contemporaneo. Coniugava insomma la lotta del movimento operaio con un’attenzione ai movimenti climatici. Tutto ciò che di antico e di nuovo deve esserci.

Voi non siete nuovi a questo tipo di drammaturgia: come capire qual è la storia da raccontare, quella che si sposa con il messaggio sociale da portare in scena?

Noi battezziamo un campo d’indagine e poi scriviamo una storia. Come tutto accade, secondo un principio frudiano delle libere associazioni. Non abbiamo metodo, un modello, di volta in volta cerchiamo di fidarci del nostro intuito. Con la volontà si arriva in alcuni posti ma c’è un’intelligenza che artisticamente gioca un ruolo, inconscia. L’ abbiamo sentita quel 18 settembre. Dario Salvetti, il rappresentante sindacale della fabbrica, tenne un discorso che non sembrava vero! Un’invenzione dell’inconscio di chi deve immaginare il prototipo dell’operaio dalla cultura sterminata e coscienza di classe inarrivabile. Sembrava il sogno di qualunque persona di sinistra! La storia si posa con la sua grazia o violenza su alcuni posti e la Gkn è uno di questi. C’è qui, in questo gruppo di operai qualcosa che ha a che vedere con un’intelligenza collettiva che si posa in un luogo. È stato magico.

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