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‘Microwalser’, il vagare e le piccole cose

A colloquio con Ledwina Costantini e Daniele Bernardi di Opera retablO, il 24 febbraio al Teatro Sociale di Bellinzona con uno spettacolo su Robert Walser

Biglietti all’InfoPoint Bellinzona (Piazza Collegiata 12, tel. 091 825 48 18), su www.ticketcorner.ch e relativi punti vendita
19 febbraio 2024
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Da un decennio Ledwina Costantini e Daniele Bernardi collaborano artisticamente in Opera retablO, compagnia teatrale fondata dall’attrice-regista nel 2008 con la quale, nel tempo, ha lavorato un cospicuo numero di attori. Opera retablO si esprime spesso in maniera secca, diretta, scuotendo il pubblico attraverso un ricorrente linguaggio simbolico. ‘Microwalser’, nuova creazione del gruppo il cui debutto è previsto sabato 24 febbraio al Teatro Sociale di Bellinzona, sembra però andare in una differente direzione rispetto al passato. Il centro dell’opera è infatti la poetica dello scrittore bernese Robert Walser (Bienne, 1878 – Herisau, 1956), il cui inafferrabile spirito – agli antipodi di quello di una Ágota Kristóf o un Kokoschka – ha dettato il taglio della nuova creazione.

Ledwina e Daniele, la prima domanda è d’obbligo: perché, oggi, uno spettacolo su Robert Walser?

Ledwina: Anni fa qualcuno mi parlò di Walser e, nello specifico, dei suoi “microgrammi”. Scoprii quindi che verso la fine del suo percorso aveva preso a infittire di segni dei minuscoli fogli sui quali nessuno riuscì a riconoscere una scrittura fino al giorno della loro decifrazione. Ne rimasi affascinata, così come dalla sua poetica e dal suo modo di stare al mondo: era un nomade, che camminava ossessivamente su lunghe tratte. La sua frenesia era tale che, pure quando si trasferì stabilmente a Berna, cambiò casa sedici volte. Una vera e propria anima errante. Ricoverato in una clinica psichiatrica a 51 anni, infine iniziò a scrivere questi “microgrammi”, che tanto ricordano le impronte sulla neve da lui lasciate quando, errando, morì durante un’emblematica passeggiata. La sua è una storia poetica, struggente, che mi ha molto toccata. Leggendo mi ha pure colpita il suo desiderio di comunione con la natura (comunione perfettamente espressa dalle circostanze del suo decesso). Abbiamo quindi pensato fosse interessante, bello, raccontare della sua persona. Certo, si tratta di una sfida, visto che a oggi abbiamo realizzato spettacoli rituali, spesso truci, che scrutano l’aspetto più oscuro dell’animo umano.

Quindi Robert Walser apparteneva più alla natura che alla società. Il suo era un errare per ore senza badare al resto. Ma voi sarete nello spazio chiuso di un palcoscenico. Come trasporrete questa idea al Teatro Sociale?

Daniele: Ciò che di Walser ci interessa è lo sguardo incantato del fanciullo, che vede il mondo come una fiaba. Quella nota di gentilezza propositiva di cui sentiamo il bisogno. Per quel che riguarda la sua erranza, invece, la chiave interpretativa è nella messa in forma del suo rapporto con la scrittura, aspetto che cercheremo di cogliere attraverso l’uso del disegno dal vivo.

Ledwina: È bene sottolineare che per Walser l’«errare per ore senza badare al resto» era legato all’essere natura. Per lui girovagare non era fare il fannullone, ma seguire il naturale svolgersi della scrittura nel mondo. Quindi sì, utilizzeremo il segno: scritto, disegnato, filmato. Abbiamo ideato un ambiente chiuso nel quale creare dei micro-viaggi, dei micro-paesi, dei micro-scenari e dei micro-segni per esprimere questo particolare pensiero.

Sempre riguardo all’“errare senza badare al resto”: in arte è importante arrivare, avere delle risposte? Il fatto che Walser producesse una scrittura nomade, il cui invito pare essere il puro viaggiare e decifrare liberamente il mondo, non suggerisce che per stimolare il lettore è necessario privarlo di risposte certe e sicure?

Ledwina: Il fatto che non dia risposte chiare è la sola cosa certa. A volte pensi che arrivino, ma poi non avviene. Però la cosa non ti turba, anzi, ti incuriosisce maggiormente. Ciò che ho capito è che Walser ti spinge a guardare l’insieme delle cose chiedendoti quale sia il tuo posto, chi tu sia; dicendoti di rallentare e di pensarti come essere umano.

Non conosco il compito dell’arte, ma credo che il non dare risposte lasciando spazio alla meraviglia così come ai nostri ragionamenti sia importante. Trovo sia bellissimo poter vagare in un libro senza pensare alla meta.

Ledwina: E questo è un po’ quello che fa Walser, sottraendoti alla comfort zone dei punti di partenza e arrivo. In questo senso, noi leveremo il gioco del teatro dalla scena: nessuna recitazione in questo spettacolo. Non ci saranno “effetti speciali”, rappresentazione, personaggi, interpretazione e tecnologie superflue. Nemmeno lo stupore. Addirittura, cercando di essere walseriani, non ci siamo curati del ritmo. In un’epoca in cui si ha bisogno di tutto, e subito, abbiamo cercato di privarci delle cose, di cancellarci per far emergere l’oggetto dell’opera.

Visto che parliamo di togliere tutto: alla fine, nella vostra concezione, cosa dovrebbe rimanere? Walser? Opera retablO? Altro ancora? Partite da Walser per raccontare altro oppure da voi stessi per raccontare lui?

Ledwina: L’anno scorso abbiamo realizzato Kokoschka, uno spettacolo che prendeva le mosse dalla vita di Oskar Kokoschka per parlare d’altro. Ora invece è proprio ciò che Walser dice a sembrarci importante. Questo spettacolo e questa sfida nascono per tentare di portare qualcosa di mite e gentile, anche pensando al mondo ed alla sua rappresentazione agli occhi delle nuovissime generazioni.

Daniele: Una cosa importante che sentiamo è scritta nel programma: avere un sentimento del mondo. Walser diceva che se non avesse avuto «il sentimento del mondo» non sarebbe riuscito a scrivere nemmeno una lettera dell’alfabeto. Con Köszeg (spettacolo del 2016 ispirato a Il grande quaderno di Ágota Kristóf) volevamo fare una cosa crudele, che facesse male. Ora abbiamo il desiderio opposto: compiere, come atto di coraggio, un gesto di gentilezza.

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