L’intervista

Magicamente Maurice Steger

‘Amo spiegare la musica ai bambini, ma quella fatta a mano’. A colloquio con il mago del flauto, giovedì 25 gennaio allo Stelio Molo per Osi in Auditorio

‘Per essere musicisti serve qualcosa di più che suonare bene uno strumento’
(Molina Visuals)
24 gennaio 2024
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Non abbiamo avuto il coraggio di chiedergli dell’annosa questione del flauto dolce nelle scuole, tema spinoso sul quale c’è chi ha pure fatto campagna elettorale. Anche perché i problemi nel turare il buchetto per emettere un do come si deve li ha avuti in gioventù anche il mago del flauto. Incontriamo Maurice Steger, astro della musica svizzera, tra una prova e l’altra del suo Play&Conduct per ‘Osi in Auditorio’, domani alle 20.30 allo Stelio Molo. «Quella con l’Orchestra della Svizzera italiana è una relazione che dura da tempo», ci dice. «È una fantastica orchestra ma anche un ‘club’ di grandi musicisti, amici e partner comunicativi. Il loro adattarsi ai singoli cambi di registro dei programmi cameristici è notevole, e credo che il programma di domani sia, a sua volta, un’occasione per l’Osi di calarsi in ambiti non abituali per un ensemble numeroso. L’Osi può suonare come un quartetto d’archi allargato e su Corelli, per esempio, vi riesce assai bene».

Il Concerto per flautino, archi e basso continuo in fa maggiore di Arcangelo Corelli si aggiunge al Concerto per violino, archi e basso continuo in fa maggiore RV 569 di Antonio Vivaldi, al Quadro per flauto, oboe, violino e basso continuo in la minore TWV43:a3 di Greg Philipp Telemann e a due sinfonie, ‘Les Élémens, symphonie nouvelle’ di Jean-Féry Rebel e la Sinfonia n.31 in re maggiore KV 297 (o ‘Sinfonia di Parigi’) di Wolfgang Amadeus Mozart. In Telemann e Vivaldi, Steger sarà affiancato da due solisti Osi: il Konzertmeister Robert Kowalski (violino) e altre prime parti dell’orchestra.

Maurice Steger: quanto è stimolante per un solista la formula Play&Conduct?

Dopo tanti anni di training, mi sento totalmente a mio agio ed è una formula che amo. Sono molti i problemi legati all’essere un solista dal repertorio prevalentemente di musica antica. Nella maggior parte dei casi può risultare difficile trovare un direttore d’orchestra in grado di dirigere correttamente quel repertorio, e non sto muovendo critiche alla professionalità, è solo per dire che non si tratta del repertorio del ‘normale’ direttore d’orchestra. Ecco perché molti anni fa mi è stato chiesto di dirigere da me. Mi sono dato questa possibilità, non prima di avere studiato a sufficienza; e dopo aver studiato sono tornato in questa doppia posizione, dirigendo e suonando all’interno dello stesso concerto, trovandomi veramente nei guai… (sorride, ndr). Se suoni uno strumento, un flauto dolce in particolare, sei confrontato a mille piccoli dettagli da seguire e dovresti concentrarti solo su te stesso; suonare uno strumento è un atto estremamente egocentrico, devi essere perfetto, devi curare il suono, l’intonazione, sono così tanti i parametri! E quando dirigi fai l’opposto: ti occupi solo ed esclusivamente degli altri, un’azione che necessita di molta pratica, perché l’energia richiesta è differente.

Telemann e Corelli sono capisaldi della sua discografia: ci presenta la parte restante del programma di domani?

Il ‘Quadro’ di Telemann è una registrazione bellissima fatta con Musica Antiqua Köln per la Deutsche Grammophon, e così ‘Mr Corelli in London’, con The English Concert. A Lugano avremo il Concerto di Vivaldi per violino, due oboi, due corni e orchestra, un ‘remix’ di Johann Georg Pisendel, che per la corte di Dresda fece un gran lavoro su Vivaldi; noi suoniamo proprio la versione di Dresda. Sono molte le influenze parigine del programma, che considero una sorta di ‘Greetings from Paris’: le due grandi parti sono la Sinfonia n.31 di Mozart, scritta nella capitale francese e splendidamente costruita, e poi ‘Les Élémens, symphonie nouvelle’ di Jean-Féry Rebel, una sorta di balletto, una sinfonia in uno stile nuovo. In questo caso, l’idea è quella di portare sul palco i quattro elementi, fuoco, acqua, aria e terra. La sinfonia di Rebel si apre con il caos che la natura prova a trasformare in ordine, sono circa 28 minuti di musica che ho diviso in tre sezioni, inframezzate da Vivaldi e Telemann, elementi di una coreografia storica. Nella seconda parte, Corelli e altre influenze francesi, perché suonerò variazioni di Michel Blavet. E poi Mozart.

Anni fa dichiarò che prima di diventare un maestro dello strumento la sua prima esperienza flautistica fu, testualmente, ‘una catastrofe’. Vuole riassumerci l’accaduto?

Avevo sei anni, andavo a scuola nei Grigioni, ero il più piccolo della classe, riservato e silenzioso; provai a suonare il flauto e andò così male che lo misi in un armadio, sotto ai maglioni pesanti, ripromettendomi di andare a riprenderlo dopo l’inverno. Di inverni ne passarono tre, durante i quali imparai a leggere e scrivere meglio di come facevo; poi un insegnante, che posso considerare come un nonno, riaccese in me la voglia di suonare e grazie alla musica migliorai a scuola, nella calligrafia, nella grammatica, in tutto. Avevo solo bisogno di tempo. E solo con il giusto tempo, studiando, diventai bravo. Accadde verso i 12-13 anni, con molta naturalezza.

Lei è anche un insegnante, il personaggio di Tino Flautino è una sua creazione, portata alle Settimane Musicali di Ascona del 2018 per un concerto dedicato proprio ai piccoli ascoltatori, e magari futuri flautisti. Perché, mi corregga se sbaglio, non è il modo in cui ci insegnano la musica che ce la fa amare?

Sì ed è una grande responsabilità. Ho trovato interessante portare la musica ai giovani in un modo nuovo e fresco, ma parlo di musica ‘fatta a mano’. Non sono molti i bimbi ai quali si è fatto sperimentare la musica suonata, diversa da quella disponibile su smartphone, computer e tv. Ho tenuto più di un migliaio di concerti per i bambini, proprio per mostrare la musica che suono, per raccontarne la storia.

Una curiosità legata al suo strumento: qual è, per un flautista, l’equivalente di uno Stradivari per un violinista?

Nel periodo del barocco abbiamo molti strumenti Steiner, quelli che suonavano Bach e Telemann. In Germania c’è la dinastia Denner, una grande scuola è anche nelle Fiandre e nei Paesi Bassi; quella italiana di fine Settecento-inizio Ottocento risponde al nome di Anciuti, e strumenti preziosissimi arrivano anche dal liutaio francese Peter Bressan. Ma c’è una differenza tra violini e flauti, i cui esemplari più antichi diventano sempre più difficili da gestire: suonando, immettiamo nello strumento umidità, che si aggiunge a quella esterna e a una lacca che lo ricopre non così forte come quella applicata ai violini. Se suonassi ora uno strumento antico, il suo suono sarebbe gradevole per non più di dieci secondi...

Un maestro dello strumento ha ancora qualcosa da chiedere, al suo strumento?

Con il flauto ho potuto suonare con tanti musicisti e assorbire molte influenze, italiane, tedesche, inglesi, francesi. Ciò che sento come novità è imparare a essere più stabile nelle molte variabili sonore dalle quali il mio strumento è sollecitato. Ma non è una questione tecnica, per quanto necessitiamo della tecnica per suonare. Rispetto a trent’anni fa, oggi il livello tecnico è altissimo, ho studenti che suonano come suonavo io al mio primo esame da solista. Si è fatto un notevole salto in avanti verso la professionalità, ma per essere musicisti serve qualcosa di più che suonare bene uno strumento. Suonare bene non è il dono assoluto, c’è dell’altro e non è tecnico.

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