Venezia80

E la giuria non riuscì a sorprendere

Uniformati ai giudizi dei critici, Leoni e Coppe sono assegnati (per l’indignazione della Polonia). Fino al 2024 schermi spenti al Lido

Yorgos Lanthimos con il presidente della Biennale Roberto Cicutto
(Keystone)
10 settembre 2023
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Tutto come previsto nel palmarès confezionato dalla Giuria di Venezia 80. Chi si aspettava sorprese e polemiche è stato zittito. La giuria presieduta da Damien Chazelle e composta da Saleh Bakri, Jane Campion, Mia Hansen-Løve, Gabriele Mainetti, Martin McDonagh, Santiago Mitre, Laura Poitras e Shu Qi non ha avuto coraggio e dopo aver visionato i 23 film in competizione si è accodata ai giudizi espressi da vari critici, tutti accontentati coi premi più attesi.

Leone d’oro per il miglior film a ‘Poor Things’ dell’ateniese Yorgos Lanthimos, che qui sventola bandiera britannica. Film tratto dal romanzo omonimo dello scozzese Alasdair Gray, ci conduce in un mondo dove Frankenstein si coniuga con Coppelia, in un clima di spinto e onirico erotismo. Premio meritatissimo, come il Leone d’argento Gran Premio della Giuria ad ‘Aku Wa Sonzai Shinai’ (Il male non esiste) di Ryusuke Hamaguchi (Giappone), film che celebra la bellezza della Natura e il rispetto che a essa è dovuto da noi umani. Atteso era anche il Leone d’argento Premio per la migliore regia, andato a Matteo Garrone film ‘Io Capitano’ (Italia, Belgio), capace di raccontare attraverso la favola gli argomenti più scottanti della realtà. Garrone ci porta nel mondo migrante con rispetto e dignità, regalando al giovanissimo Seydou Sarr il Premio Mastroianni dedicato a un giovane attore emergente: speriamo che il ragazzo ne approfitti. Di sicuro, il film di Garrone avrà un buon successo anche critico, magari come rappresentante dell’Italia agli Oscar.

Meritata la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Cailee Spaeny per ‘Priscilla’ di Sofia Coppola (Stati Uniti, Italia), ma la Jessica Chastain di ‘Memory’ di Michel Franco (Messico, Stati Uniti) era ben più intensa. Il fatto è che riservando la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a Peter Sarsgaard per lo stesso film, si rendeva necessaria una diversificazione. Ma sarebbe stata meglio una Coppa Volpi a Caleb Landry Jones, superbo interprete di ‘Dogman’ di Luc Besson, il film ingiustamente più sottovalutato della Mostra.


Seydou Sarr, Premio Marcello Mastroianni al giovane emergente


Keystone
Luc Besson con la moglie Virginie Besson-Silla

Il Premio per la Migliore Sceneggiatura è andato a Guillermo Calderón e Pablo Larraín per ‘El Conde’ di Pablo Larraín (Cile), che pare un risarcimento alla presenza non premiata di Netflix alla Mostra. Pochi, a questo proposito, hanno capito perché la Motra abbia chiuso con il fuori Concorso di un film di Netflix come ‘La società della neve’ di J. A. Bayona, un dramma sul cannibalismo, non certo un film divertente, giocato sulla tragedia di un incidente aereo, con i sopravvissuti che per vivere sono costretti a mangiare i corpi dei compagni di viaggio morti. È una storia vera, basata sul disastro del volo Andes del 1972 in Uruguay, ma non è certo un buon arrivederci al 2024.

Farà discutere, in Europa, il Premio Speciale della Giuria a ‘Zielona granica’ (Il confine verde) di Agnieszka Holland (Polonia, Rep. Ceca, Francia, Belgio). La regista è al centro di assurde polemiche in Polonia per aver denunciato la stupida violenza delle guardie di confine tra Polonia e Bielorussia. Aspettiamo anche le denunce di Aleksandr Lukashenko, visto che la regista parla anche delle sue guardie di confine. Il fatto è che in Polonia c’è una Dittatura culturale e civile che ama il silenzio sulle sue malefatte e la regista, come nella favola del re nudo, denuncia la scandalosa nudità di un regime, denunciato come tale anche in un altro film in Concorso, ‘Kobieta z...’ di Małgorzata Szumowska e Michał Englert, film dimenticato dalla Giuria, ma che a differenza di Agnieszka Holland attacca direttamente governo e chiesa polacca accusandoli della loro fascista teocrazia oscurantista, problema che riguarda ormai tanti paesi europei.

Non è andata benissimo agli interessanti due film svizzeri ‘Die Theorie Von Allem’ di Timm Kröger, che ha ricevuto un premio indipendente, il Bisato d’Oro come miglior film di tutte le sezioni; nel silenzio è finito ‘Lubo’ di Giorgio Diritti: almeno un premio per il miglior attore, Franz Rogowski lo meritava.


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Franz Rogowski

Cancel cinema

Dopo Leoni e Coppe, Venezia 80 va agli archivi in questo caldo settembre. È stata una Mostra in cerca di identità, vedova dei film a stelle strisce, bloccati dallo sciopero degli sceneggiatori. Venezia ha scoperto l’altro cinema, e i premi più importanti sono andati a Gran Bretagna, Giappone e Italia, ma non perché mancassero gli altri film, semplicemente perché in questo momento sono i migliori al mondo, e forse sono una lezione da imparare per gli sceneggiatori Usa impauriti dall’Intelligenza artificiale, che certo, può copiare le banali sceneggiature che Hollywood sforna in continuità, ma non può generare le idee del cinema degli altri mondi, europei, asiatici, africani, sudamericani. Ecco il punto. Si pensi a Woody Allen e al suo ultimo ‘Coup de chance’ parlato in francese, che sfidando l’egemonia della lingua inglese, dimostra che il più newyorchese degli autori preferisce la libertà sotto la Torre Eiffel alla banalità di una lingua biascicata malamente in tutto il mondo.

Proprio Allen, comunque, è stato al centro delle proteste di un gruppo di donne, ma anche alcuni uomini, a seno nudo mentre il regista passava sul tappeto rosso con la moglie Soon-Yi Previn, flash mob riservato anche a Luc Besson e Roman Polanski. Il problema è serio: dobbiamo vietare le proiezioni di questi autori? Metterli al bando, alla berlina? Proibirgli di fare film, metterli in galera? Vietare tutti i libri della Grecia antica, dell’antica Roma, per pedofilia? Venezia pone questo problema di coscienza. E Michelangelo e i suoi contemporanei artisti? Nascondiamo le loro opere, le cancelliamo? Pensiamo ai Buddha di Bamiyan distrutti dai talebani nel 2001, a Giordano Bruno bruciato a Piazza dei fiori a Roma. Certo, Woody Allen (anche se assolto dalla legge) e gli altri sono colpevoli per chi li contesta, ma proprio qui, a Venezia, Galileo per un po’ si era salvato. E ora? A cosa serve un Festival a Venezia ai Galileo o ai seri talebani? Non basta non vedere più in Concorso e fuori i film russi e degli amici della Russia: non è più importante dello sciopero degli sceneggiatori statunitensi? La civiltà della Repubblica veneziana non avrebbe permesso una simile censura, ma oggi la Mostra è una dipendenza romana che occupa per quindici giorni e più un brandello di Lido, racchiusa come in un fortilizio, lontana da ogni vita che si svolge intorno.


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Proteste per la presenza di Woody Allen

Ci porteremo via...

Da questa mostra ci porteremo le emozioni proprio di ‘Dogman’ di Luc Besson, il gioco cinematografico e intellettuale de ‘La Bête’ Bertrand Bonello, l’immagine di due amanti che per salvarsi dal fuoco muoiono annegati in un mondo che non vuol sapere del loro amarsi. Ci porteremo altri due amanti, quelli di ‘Hors-Saison’ di Stéphane Brizé, e siamo noi tutti che abbiamo conosciuto l’amore, come i personaggi di Guillaume Canet e Alba Rohrwacher che devono imparare a dirsi un addio che resta indimenticabile amore. Nostro sarà il ricordo della 15enne che anima ‘Holly’, il film della regista Fien Troch.

Ci porteremo anche Polanski e il suo ‘The Palace’, perché il cinema è anche il divertimento della mente. Non dimenticheremo ‘Making Of’ di Cédric Kahn, con protagonista il fare cinema, il crederci, il bisogno di trovare i soldi e il piacere di spenderli per raccontare al pubblico una storia, quella di chi lavora per fare un film che parli di qualcosa di concreto, di operai che perdono il lavoro, di famiglie che non hanno da mangiare, di rapporti umani in frantumi, di amori che nascono perché nel vuoto serve sempre l’amore. Grandioso film, ‘Making Of’, storie di cinema al cinema su grande schermo. Ecco, rimpiangeremo gli schermi grandi, e al Lido, finito il Festival, non c’è nessuna sala cinematografica.


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Cédric Kahn, terzo da sinistra, e il cast di ‘Making Of’

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