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‘3/19’, l’incontro tra due mondi di Silvio Soldini

Il regista italo-svizzero ci racconta il suo nuovo film con protagonista Kasia Smutniak

27 gennaio 2022
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Si intitola ‘3/19’, il film di Silvio Soldini coprodotto da Ventura Film e Rsi che dopo la prima svizzera alle Giornate di Soletta e un’anteprima al Lux alla presenza del regista, è adesso in programmazione nelle sale della Svizzera italiana. Il significato di quelle cifre, che non indicano semplicemente una data, è un piccolo mistero che, ci ha spiegato Soldini, «mi piace l’idea che si sveli durante la visione», e quindi altro non diremo, limitando l’esposizione della trama a quello che si accenna nella presentazione. Camilla (una brava Kasia Smutniak) è avvocata determinata, impegnata sia a condurre complicate compravendite vantaggiose per i suoi clienti, sia a non farsi mettere i piedi in testa dai colleghi maschi. Più fragile la vita personale: divorziata e con un amante sposato, Camilla ha una figlia adolescente (Adele, interpretata da una convincente Caterina Forza) con la quale da tempo non c’è un vero dialogo. Un incidente stradale, una sera di pioggia, la porta a indagare per scoprire l’identità dell’altra persona coinvolta, un giovane immigrato senza documenti. Gli indizi la porteranno a conoscere Bruno (Francesco Colella), il direttore dell’obitorio di Milano e a mettere in discussione sé stessa. Ovviamente, verrebbe da dire immaginandosi la scontata storia della donna in carriera che si ravvede e cambia vita. «Ne abbiamo parlato molto in fase di scrittura» ci spiega Soldini, «ci sembrava una cosa non realistica, di quelle che accadono solo nei film: non è questo il cambiamento di Camilla, ma un cambiamento c’è, come un rallentamento, un diverso rapporto con il tempo che non è più solo quello del lavoro». Camilla cerca di andare avanti «con la sua vita come se niente fosse stato, se cerca di non perdere il ritmo e la velocità, ma non ci riesce».
Quello di Camilla è un personaggio complesso e ben costruito. È stato difficile svilupparlo? «Credo che sia il frutto di una serie di interviste a donne che fanno questo mestiere: volevo infatti capire che cosa c’è dietro, perché svolgono proprio quella professione. Non è solo una questione di soldi, ma c’è un divertimento, una passione nel risolvere problemi che a prima vista sembrano impossibili da risolvere. In particolare, un’avvocata mi ha aiutato anche a scrivere le scene di lavoro perché io non ne sapevo assolutamente nulla, ma mi affascina il linguaggio che usano, un ibrido tra italiano e inglese pieno di termini misteriosi e che mi è piaciuto inserire all’inizio del film».
Per quanto riguarda la scelta di Kasia Smutniak per la protagonista Camilla, Soldini ha ricordato le prime audizioni fatte in Zoom, visto che il casting è avvenuto durante il secondo lockdown, anche se poi il regista è riuscito a organizzare dei provini dal vivo a Roma con due-tre attrici. Tra cui appunto Kasia Smutniak: «A un certo punto è venuto fuori il suo nome: all’inizio mi sembrava troppo giovane per il personaggio che avevo in mente, ma mi è sembrata molto vicina la personaggio. Mi è sembrato che potesse portare al personaggio innanzitutto la sua bellezza, e soprattutto un misto di forza e di freddezza. Perché fare quel lavoro lì vuol dire stare in un mondo di soli uomini e bisogna lottare parecchio per mantenere questa posizione».
A proposito di pandemia: il lockdown non ha coinvolto solo il casting, ma anche la fase di preparazione delle riprese. «I cinema erano chiusi e visto che il film è prodotto dalla Lumière di Lionello Cerri che è anche il gestore dell’Anteo di Milano, ci siamo detti: facciamo la preparazione all’Anteo! Ci siamo quindi distribuiti tra i vari spazi… e il film è nato già al cinema».

Quasi un thriller

Come accennato, nel film ci sono vari misteri sui quali Camilla cerca di far luce: idee per un giallo o un noir, generi che effettivamente hanno tentato Soldini. «Avevo voglia di confrontarmi con un film di genere e mi sono messo a leggere un po’ di gialli, non di quelli sanguinolenti con il serial killer che si aggira per la città a far vittime, ma con quelle atmosfere un po’ misteriose… Ho letto un po’ di roba ma non ho trovato nulla che mi appassionasse al punto da volerne fare un film e nel frattempo mi sono messo a lavorare con i miei sceneggiatori su varie ipotesi di storie, di personaggi, di avvenimenti. E la voglia di fare qualcosa un po’ di genere è confluita in questa storia».
Camilla, prosegue Soldini, «fa un’indagine, deve scoprire delle cose seguendo degli indizi… ma poi la storia segue un’altra piega». Quella di due destini che si incrociano in un incidente stradale. «Uno scontro in cui avviene qualcosa: la morte per il ragazzo senza nome e come a una rinascita per Camilla. È come se questo incidente la portasse a scoprire una parte di sé che non conosceva. E una parte di mondo che non conosceva».
Il ragazzo senza nome non è tuttavia un semplice pretesto, una comparsa che esaurisce il suo compito morendo. «C’è un filo rosso che lo lega a Camilla: lui è quello che mette in moto tutto quello che avviene dopo». Una delle idee emerse in fase di scrittura è quella di «prendere due personaggi quasi all’opposto, due personaggi lontanissimi che non si sarebbero mai incontrati e mai conosciuti». Camilla «abita nella parte ricca del mondo occidentale mentre «il ragazzo senza nome arriva da un altro mondo, passa di qui per scappare, per tentare di sopravvivere».

Camilla e il ragazzo senza nome, ma anche il rapporto con la figlia Adele, la relazione con l’amante, la conoscenza con Bruno. ‘3/19’ è un film ricco, forse fin troppo. «Durante la scrittura c’è sempre una fase in cui vengono fuori tante idee, tanti personaggi… me abbiamo eliminati un po’ ma mi sembrava bello che questo film fosse così “pieno”, perché spesso i film di genere al di là della trama principale non hanno molto». Cosa che a Soldini non piace innanzitutto come spettatore: «Quando vado al cinema mi piacciono quei film che mi lasciano qualcosa e questo penso mi abbia un po’ influenzato come autore: cerco sempre di mettere tante cose nei film, forse ‘Pane e tulipani’ è il più semplice che ho fatto».

Il film è ambientato a Milano. Ma la conclusione ci porta invece in Liguria. «Si va altrove ed è un altrove sempre dettato dal ragazzo senza nome: è sempre lui che, a suo modo, la guida in questo luogo. Mi sembrava bello uscire da questa città, alla fine, per arrivare in un luogo dove si vedesse l’orizzonte, dove si torna agli elementi fondamentali come il sole, il mare, gli alberi, il vento. Il resto film è invece racchiuso tra le case, tra gli scorci metropolitani con questo doppio sguardo: da una parte la città di lei, abitata dall’alto, e dall’altra la città di lui, nelle mense, nei dormitori.

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