Scienze

L’umanità è stata a un passo dall’estinzione

Siamo a 930mila anni fa, in corrispondenza con una fase che portò a importanti cambiamenti nelle temperature, gravi siccità e perdita di altre specie

In sintesi:
  • La popolazione della Terra ha subito diverse fluttuazioni in termini di numeri
  • La nuova scoperta apre un nuovo campo nell'evoluzione umana
C’erano ancora loro
(Keystone)
1 settembre 2023
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Tra 900 e 800mila anni fa la popolazione umana mondiale ha subìto una drastica riduzione, probabilmente a causa di cambiamenti climatici, ed è arrivata a un passo dall'estinzione. La preservazione della specie, per più di 100mila anni, è stata resa possibile da poco meno di 1’300 individui in età riproduttiva. È quanto ha scoperto uno studio internazionale pubblicato su Science, che ha coinvolto anche l'Università di Roma La Sapienza e l'Università di Firenze.

Nel corso della sua storia, la popolazione umana ha subito diverse fluttuazioni in termini di numeri. I ricercatori hanno ora sviluppato una metodologia che è in grado di percorrere a ritroso lo sviluppo della variabilità genetica umana e in tal modo avere informazioni sull'andamento della popolazione.

Questo strumento ha consentito di scoprire che a partire da 930mila anni fa, in corrispondenza con una fase che portò a importanti cambiamenti nelle temperature, gravi siccità e perdita di altre specie, utilizzate come cibo dagli esseri umani, si è verificato un ‘collo di bottiglia’ e “circa il 98,7% degli antenati umani fu perso, minacciando così di estinzione i nostri antenati”, scrivono i ricercatori. La popolazione umana si ridusse quindi a circa 1’280 persone in età riproduttiva e ci vollero circa 117mila anni prima che ricominciasse a crescere.

"La nuova scoperta apre un nuovo campo nell'evoluzione umana perché evoca molte domande, come i luoghi in cui vivevano questi individui, come hanno superato i catastrofici cambiamenti climatici e se la selezione naturale durante il collo di bottiglia abbia accelerato l'evoluzione del cervello umano", afferma Yi-Hsuan Pan, coordinatore della ricerca.

Inoltre, dice in una nota Giorgio Manzi, ordinario alla Sapienza e tra gli autori dello studio, potrebbe spiegare "il gap nei reperti fossili africani ed eurasiatici": infatti "coincide con questo periodo di tempo una significativa perdita di prove fossili".

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