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Marco Solari: vola solo chi osa farlo

L'autobiografia di un inguaribile ottimista che non ha mai smesso di interrogarsi sul ruolo del Ticino all'interno della Svizzera

In sintesi:
  • Illuminista, liberale, visionario: un uomo che ha vissuto tante vite
  • Non ha mai accettato che il Cantone fosse solo una ‘Sonnenstube’
Liberale e illuminista
(@Keystone)
17 novembre 2023
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Per realizzare un sogno, ci si deve svegliare. E per essere all’altezza del proprio sogno, è necessaria una buona dose di coraggio. Imparare a dare alle cose, alle persone e ai fatti il peso e il nome che meritano, prendersi la responsabilità di andare avanti senza lasciarsi scoraggiare da invidie, avversità e momenti di sconforto. E crederci, insistere, guardare avanti, costruire, prima che il Padreterno o la coscienza chiedano conto dell’utilizzo dei talenti ricevuti in dono. Quanto ottimismo, quanta fiducia in sé e negli altri, quanta incoscienza ci vogliono per prendere costantemente la vita a morsi, comportandosi sempre come se il bicchiere fosse mezzo pieno anche quando agli occhi di qualsiasi persona di buonsenso appare vuoto, gestendo e orientando l’inquietudine, in modo che rimanga fruttuosa e dia risultati equilibrati?

Si può trovare una risposta nelle esperienze accumulate e nei risultati ottenuti da quel piccolo bernese dal nome italiano che, pedalando lungo l’Aare alla Länggasse, esponeva orgoglioso due bandiere ticinesi fissate sulla bicicletta, alla faccia dei bulletti locali che lo chiamavano ‘Tschingg’, e soffriva per il paternalismo scopertamente razzista esibito dai manuali scolastici nei confronti dei ticinesi. Qualche anno più tardi, il ragazzo avrebbe sfidato la contrarietà paterna terminando gli studi universitari a Ginevra, dove si sarebbe mantenuto da solo, risparmiando sull’insalata e presentandosi alle cene in uniforme da ufficiale, non avendo pantaloni di ricambio.

Il Ticino e la sindrome di Calimero

Non avrebbe mai smesso, il giovane Marco Solari, di interrogarsi sulla natura della Svizzera, sul senso dello stare insieme, sulla considerazione dei connazionali nei confronti dei ticinesi (“ci stimano, ma non ci amano”, constatava Guido Calgari), sulle barriere mentali e culturali che impediscono ai gruppi linguistici di ascoltarsi e comprendersi, e infine sull’importanza del Ticino per il resto della Confederazione. “Senza il Ticino, la Svizzera sarebbe niente di più che uno Stato bipolare come il Belgio”, afferma convinto alla serata in suo onore organizzata a Bellinzona dal Club dei Mille, ed è indubbio che le iniziative intraprese, le battaglie combattute, le avventure culturali (come il rilancio internazionale del Locarno Film Festival) da questo liberale illuminista abbiano aiutato il cantone, sulla scia dell’opera di Jean-Pierre Bonny, a scrollarsi di dosso quella sindrome di Calimero che gli impediva di riconoscersi indispensabile in una Svizzera che, dal canto suo, almeno fino a qualche tempo fa usava relegarlo, con supponente spirito padronale, al ruolo di ‘Sonnenstube’.

E se tanto è stato fatto, quanto rimane da fare, per esempio nei rapporti con l’Italia, per scongiurare il rischio che un Ticino finalmente moderno e consapevole si ripieghi su di sé? Questione di non poco conto, alla base, confessa Solari, di liti furibonde con Matilde Casasopra Bonaglia, curatrice dell’autobiografia, intitolata semplicemente ‘Marco Solari’, edita da Giampiero Casagrande, un libro ricco di citazioni, perché, come ogni intellettuale, Solari è anche i libri che ha letto.

Mai montarsi la testa

Ma è soprattutto le cose che ha fatto, i tanti cambiamenti che ha affrontato, chiamato ogni volta a risolvere problemi, a sedare conflitti, a mettere la sua apertura mentale e la sua capacità di ascolto al servizio di una causa. Facendo attenzione a non perdere il contatto con la realtà: “Prima e durante le celebrazioni del Settecentesimo mi sono sentito sommergere dall’affetto e dalla simpatia della popolazione. Mi sono ritrovato a rilasciare centinaia di interviste e a essere onnipresente sulla stampa, in televisione e alla radio. La popolarità, lo ammetto, è come una droga, una sensazione meravigliosa, ma anche molto pericolosa”.

E ancora: “Alla fine di quel folle 1991 c’era una quartina che mi rimbombava dentro: ‘La fama che invaghisce a un dolce suono Voi superbi mortali, e par sì bella, è un’eco, un suono, anzi del sogno un’ombra ch’ad ogni vento si dilegua e sgombra’. A confermare questa mia convinzione ci fu il consigliere federale Willi Ritschard. Lui, è vero, non mi citò la ‘Gerusalemme liberata’ di Torquato Tasso, ma più prosaicamente mi disse: ‘Marco, devi sapere che più la scimmia sale in alto, più si vede il suo sedere. Se si raggiungono le stelle, non si deve mai perdere la presa sul terreno’. Ho cercato di far mia questa lezione in tutta la mia vita e penso di esserci riuscito”.

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