Jazz Cat Club

Joey Calderazzo, quel che conta è intrattenere

Da Michael Brecker a Branford Marsalis, dalle nomination ai Grammy al suo trio, ‘spazio di libertà’: lunedì 6 novembre ad Ascona (un ritratto)

‘Il jazz, io l’ho imparato per strada, nei club, dai dischi. L’ho imparato facendo domande, lavorando e soprattutto suonando’
(Keystone)
5 novembre 2023
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Tredici album come leader, membro di spicco di famosi ensemble jazz, plurinominato ai Grammy, ha condiviso il palco con musicisti del calibro di Michael Brecker, Branford Marsalis, Jack DeJohnette e Dave Holland e tanti altri: lunedì 6 novembre alle 20.30, ospite del Jazz Cat Club al Teatro del Gatto di Ascona è il pianista Joey Calderazzo con il suo trio e con un ospite speciale, il sassofonista portoricano Miguel Zénon. Breve ritratto.

Cresciuto ascoltando i Led Zeppelin, gli Who, i Rolling Stones, Emerson Lake and Palmer e gli Yes, Joey Calderazzo suona il pianoforte dall’età di 8 anni. Studia inizialmente la classica e si avvicina al jazz a 14 anni. Fra i suoi insegnanti ricorda Charles Blenzig a New York, che allora lavorava con Gato Barbieri e Michael Franks. “Non sapevo niente di jazz e Charles è quello che mi ha insegnato di più, gli accordi, le scale, mi ha fatto ascoltare il bebop e altre cose. Era davvero in gamba”. Di scuole musicali Calderazzo ne ha iniziate più di una, ma senza portarle a termine. Lascia ad esempio la Berklee dopo una settimana perché “non c’era con la testa”, poi la Manhattan School of Music per andare a lavorare sei mesi su una nave da crociera in Europa. Il jazz, ha detto in un’interessante intervista all’Ottawa Citizen, “io l’ho imparato per strada, nei club, dai dischi. L'ho imparato facendo domande, lavorando e soprattutto suonando”.

Michael Brecker

Tornato dall’Europa, a 19 anni frequenta qualche lezione alla Long Island University di Brooklyn, ma soprattutto va in giro a suonare nei locali. Ottenuto un ingaggio in un albergo, dove passano anche Dave Liebman e un sacco di artisti importanti, si fa notare dal leggendario sassofonista Michael Brecker, che lo ingaggia. “È stato un periodo pazzesco”, dice oggi Joey, “avevo 22 anni e non potevo certo considerarmi un pianista jazz. Sapevo suonare il jazz sì, e lo facevo in modo spericolato, folle. Suonavo come un pazzo, avevo un'energia che non molti avevano. Mike pensava che la cosa fosse eccitante, e così pensava anche la gente”. Giovane pianista sconosciuto, nel primo anno di collaborazione con Breker tutte le case discografiche lo corteggiano. Chick Corea lo chiama personalmente un'ora dopo aver firmato con la Blue Note. Ma lo cercano anche Wayne Shorter e George Benson. “Eppure non ero così bravo, devo ammetterlo. Ma avevo quella cosa, quell'energia che non molti avevano, ed era eccitante... “.

Branford Marsalis

Dopo i dischi rivoluzionari con Michael Brecker e le registrazioni da solista per la Blue Note Records (in tutto registrerà tre album), Calderazzo vive una svolta artistica cruciale nel 1996-97, quando sperimenta un cambiamento significativo nel suo approccio al pianoforte e alla composizione. Questo periodo, ricorda, coincide con la registrazione del quarto album di Brecker, ‘Tales From The Hudson’, e con una nuova, fondamentale esperienza che inizia (e la collaborazione prosegue tutt’oggi) quando entra a fare parte della band di Branford Marsalis. Qui ha modo di sperimentare un suono meno orientato verso McCoy Tyner, diversi tipi di ritmi, un approccio al tempo meno rigido e più flessibile, e di scoprire un lato più lirico nel suo modo di suonare. Parallelamente, l’artista si butta a capofitto nello studio di una varietà di grandi pianisti jazz e musicisti classici, come Art Tatum, Chick Corea, Jelly Roll Morton, Herbie Hancock, Brad Mehldau, Glenn Gould e Brahms.

Saggezza

Tutto questo contribuirà a sviluppare nel tempo il suo stile unico, che incorpora elementi di diverse epoche e generazioni di pianisti, che a volte si ritrovano in un singolo assolo. Cambiata è pure la sua filosofia musicale. "Quando ero giovane mi sentivo troppo figo per scendere a compromessi; mi dicevo: ‘Sono alla moda’ e ‘devo essere me stesso’. Era inimmaginabile per me suonare un brano jazz a tempo medio, o una ballata o fare un paio di swing, così, tanto per divertirmi. Tutto doveva per forza essere riarrangiato. Oggi, acquisendo esperienza e forse un po’ di saggezza, francamente me ne frego, non c’è più nessun imperativo: non devo cambiare la storia della musica, né lasciare una dichiarazione d’intenti musicale ogni volta che suono. L’unica cosa che conta è intrattenere e divertire la gente. Io stesso vivo il mio trio come spazio di libertà dove posso lasciarmi andare. Posso suonare un po‘ di questo e un po’ di quello. Ho le mie cose. Rubo altre cose e mi diverto. Spero che vi piaccia” (biglietti a 30 franchi su www.jazzcatclub.ch o alla cassa serale dalle 19).

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