Culture

‘Archivi del Novecento’ e i labirinti in cui ritrovarsi

Si chiude lunedì 12 allo Studio 2 Rsi la terza serie degli incontri pubblici di Rete Due e dell'Istituto di studi italiani dell'Usi

Jorge Luis Borges
(Keystone)
11 giugno 2023
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Scriveva Javier Marías nel saggio ‘Quello che succede e quello che non succede’ (1995): “Forse è inspiegabile che persone adulte e più o meno coscienti siano disposte a immergersi in una narrazione di cui sin dal primo momento sanno che si tratta di un’invenzione. Perché continuiamo a leggere romanzi, e ad apprezzarli e a prenderli sul serio e perfino a premiarli, in un mondo sempre meno ingenuo?” Forse ciò accade, prosegue Marías, perché l’uomo “ha bisogno di conoscere il possibile oltre che il vero, le congetture e le ipotesi e i fallimenti oltre ai fatti, ciò che è stato tralasciato e ciò che sarebbe potuto essere oltre a quello che è stato”.

Di questo vasto campo del possibile, intessuto di percorsi che non contemplano rassicuranti mappe, sembra fatta appunto la letteratura. A partire da questo tema cruciale, col significativo titolo ‘I labirinti del lettore’, riprende, in occasione del centenario calviniano, la serie ‘Archivi del Novecento’, frutto della collaborazione tra l’Istituto di studi italiani dell’Usi e il Settore Cultura della Rsi, con il contributo del Settore Archivi Rsi. Quattro gli autori presentati, tutti variamente rappresentativi di un’idea di lettura e letteratura come esplorazione avventurosa che dà accesso a una pluralità di direzioni cognitive e a un dialogo con voci anche molto lontane e differenti dalla nostra: Italo Calvino, Gianni Celati, Umberto Eco e Jorge Luis Borges. Tutti autori che hanno scommesso sulla letteratura come luogo del possibile e assegnato al lettore un ruolo decisivo, rendendolo protagonista del processo della narrazione. In dialogo con Massimo Zenari di Rete Due, Giacomo Jori ha parlato di Calvino, Marco Belpoliti di Celati, Anna Maria Lorusso di Eco; infine Corrado Bologna chiuderà il ciclo di letture, lunedì 12 giugno, alle 18, nello Studio 2 della Rsi a Besso, affrontando la figura e l’opera di Borges.

Già nel 1962 Calvino intitolava ‘La sfida al labirinto’ un programma ambizioso che affidava alla scrittura letteraria il tentativo di interpretare una realtà sempre più caotica e proteiforme. Con il racconto ‘Il Conte di Montecristo’, che conclude il volume ‘Ti con zero’ (1967), Calvino inaugurava una nuova fase della sua riflessione letteraria, concedendo un inedito spazio alla logica combinatoria e alla pluralità delle interpretazioni del testo. Nel racconto i tentativi di evasione del Conte e dell’Abate Faria dal castello d’If risultano sempre vani, poiché si svolgono all’interno di un edificio dalla struttura imprevedibile, che pare quasi modificarsi ed espandersi per frustrare ogni possibilità di fuga. Il castello, nel groviglio labirintico di cunicoli inutilmente scavati dall’Abate Faria, sembra, in ultima analisi, trattenere prigionieri il lettore stesso e persino l’autore, che riscrive – nei termini di uno sviluppo virtuale e ipertestuale – il celebre romanzo di Dumas del 1844: operazione impensabile senza la lezione del Borges della ‘Biblioteca di Babele’. Una novità sostanziale rispetto a ‘La sfida al labirinto’: da qui in avanti, infatti, Calvino deciderà coraggiosamente non di contrapporsi al labirinto ma di porlo all’interno della propria stessa visione del mondo, ben consapevole del rischio di smarrirsi. Ciò sia detto – si può aggiungere – a smentita di un’immagine di Calvino sempre razionalista e dedito a una pacificata ‘leggerezza’.

La scelta e quasi il dovere etico di smarrirsi, di rinunciare alla propria stessa voce di autore, per aprirsi all’ascolto di una pluralità di voci raccolte in un ambiente reale e ben circoscritto caratterizza anche l’opera di Celati a partire da ‘Narratori delle pianure’ (1985): appunti di viaggio e traduzioni (non solo dall’inglese, dal francese, dal tedesco, ma anche dal volgare quattrocentesco del Boiardo) saranno le modalità predilette della concezione di letteratura di questo singolare scrittore, che trova nell’ascolto delle realtà periferiche e marginali, delle testimonianze anonime il suo naturale ecosistema.

Che il labirinto e la lettura siano poi al centro dell’opera narrativa e saggistica di Eco appare subito evidente: la stanza segreta della biblioteca de ‘Il nome della rosa’ (1980), che custodisce il movente dei delitti che punteggiano la vicenda del romanzo, è protetta appunto da un labirinto. Le riflessioni critiche di Eco, in particolare nel volume ‘Dall’albero al labirinto’ (2007), individuano inoltre la tipologia del rizoma, labirinto aperto e potenzialmente espandibile all’infinito che ricorda da presso il racconto di Calvino poc’anzi citato. D’altronde il tema della lettura era già stato esaminato a fondo nelle sue complesse implicazioni teoriche nel saggio ‘Lector in fabula’ (1979).

L’opera di Borges, infine, costituisce il fondamento e la ricapitolazione ideale delle ragioni di questo ciclo di letture. Il già citato racconto ‘La Biblioteca di Babele’ assieme a ‘Pierre Menard autore del Don Chisciotte’; ‘Il giardino dei sentieri che si biforcano’; ‘Il miracolo segreto’; ‘Abenjacàn il Bojarí, ucciso nel suo labirinto’; infine la raccolta poetica ‘La rosa profonda’ sono solo alcuni dei titoli che si possono citare a illustrazione di una concezione di letteratura come crocevia di infinite possibilità narrative: concezione che proprio nell’unione di labirinto, biblioteca e atto di lettura trova il suo essenziale baricentro.

La Rete Due della Rsi e l’Istituto di studi italiani consegnano ora all’ascolto pubblico questo insieme di suggestioni, nella convinzione che i labirinti non solo non siano trappole ma abbiano talvolta il potere di renderci più liberi. Proprio come l’immaginazione.

Gli incontri in video streaming della terza serie di Archivi del Novecento saranno disponibili a breve nella pagina degli Speciali di Rete Due. Le quattro serate saranno riproposte durante l’estate da Rete Due, nell’ambito della trasmissione mattutina domenicale ‘Festival d’autore’.

* Stefano Prandi è direttore dell’Istituto di studi italiani dell’Usi

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