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Philippe Besson e l’inquieta delicatezza del sentimento

Tra le righe de ‘L’ultimo figlio’, il più recente romanzo dello scrittore francese

Il profondo disagio che può turbare l’animo
(Foto Besson: S. Veyrié/Wikipedia)
21 febbraio 2023
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L’inquieta delicatezza del sentimento... È questa una semplice formula che mi viene alla mente per definire il più recente romanzo di Philippe Besson, ‘L’ultimo figlio’ (p.170, €.16), pubblicato da Guanda nella traduzione di Leila Beauté.

Il racconto si muove a partire da una normale famiglia in cui troviamo un padre, Patrick, molto sobrio e per nulla espansivo, di ben poche parole, ma capace di affetti reali senza esibirne la presenza, una madre – figura centrale della microvicenda – che soffre del distacco del terzo dei figli, un diciottenne. I primi due hanno già abbandonato tranquillamente la casa di famiglia, mentre il terzo, Théo, si accinge a farlo per andare a vivere da solo in un monolocale dovendo continuare altrove gli studi.

Tutta la vicenda ha luogo nel breve volgere di un giorno, durante il quale i genitori raccolgono gli scatoloni del trasloco del ragazzo e lo accompagnano in auto a destinazione, visitandone prima il nuovo alloggio, mangiando poi con lui prima di rientrare.

Besson riesce a muoversi nel suo romanzo introducendo una straordinaria quantità di concreti dettagli di questo passaggio, in fondo di ordinaria amministrazione. Ma non è così per Anne-Marie, la cinquantenne mamma, che vive l’allontanarsi da casa di Théo, il suo estraniarsi dalla comune quotidianità della famiglia, in modo davvero traumatico. E su questo sentimento, su questo vistoso turbamento della donna è giocato il percorso, semplicissimo eppure vivamente increspato, di tutto il romanzo.

Il lettore, in effetti, rimane da principio un po’ sorpreso da tanto risalto dato a una realtà che non ha, in effetti, nulla di speciale, identica in sostanza a quella che coinvolge da sempre regolarmente esperienze familiari. Ma la sottigliezza e la sensibilità di Besson stanno proprio nella sua capacità di penetrare nella normalità delle cose e nel loro svolgimento per coglierne il dolore interno, che qui colpisce soprattutto il sentire di una madre, che non si può negare né attenuare, né tacere, nonostante la normalità umana e dunque naturale del suo manifestarsi.

Anne-Marie cerca di farsi capire dal marito, uomo solido nella sua semplicità silenziosa quanto legato da un sincero amore per la moglie, come ben si vedrà nel cammino del romanzo. Cerca di farsi capire anche con l’amica Françoise, in grado per esperienza di comprenderla, ma piuttosto lontana, per carattere, dal conoscere in proprio il senso di smarrimento e desolazione, per la separazione da un figlio, di Anne-Marie. La quale ricorda i momenti anche peggiori e gravi della sua vita, l’orfananza in cui si era venuta a trovare solo ventenne.

Besson riesce dunque a oltrepassare nettamente i limiti di cui si poteva avere il sospetto nell’avvio, raccontandoci una situazione che, appunto, non ha nulla in sé di straordinario, ma riuscendo a farlo con la pacatezza di chi riesce a cogliere, senza un briciolo di sottolineatura enfatica, il profondo disagio che può turbare l’animo e la stessa dimensione quotidiana di una madre, la quale vede allontanarsi da sé, come natura del resto impone, l’ultimo figlio a cui vorrebbe continuare a offrire la propria protezione. Questo le crea una sorta di vertigine interiore e di frustrante incertezza esistenziale, e lo scrittore riesce a rendercene partecipi passo su passo, dimostrando come anche nelle realtà in apparenza più ordinarie non esista mai nulla di scontato o impossibile da approfondire ulteriormente, facendo vibrare sulla pagina le più intime e autentiche motivazioni e cause di una sofferenza che dal profondo sale inflessibile fino alla superficie.

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