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‘Qui non è possibile’, il presente alternativo di Sinclair Lewis

Un romanzo scritto quasi in presa diretta sull’onda di ciò che avveniva in Europa in quegli anni, con brio (come avrà fatto?) e chiaroveggenza minuziosa

Sinclair Lewis
(Keystone)

Harry Sinclair Lewis era un pessimista, evidentemente. Ma i satirici e gli ironisti e gli umoristi perfino, che sono un gradino più in alto, sono dei pessimisti. Quindi il pessimismo letterario è divertente. Con tutta l’accresciuta vera o presunta complessità del mondo, la questione essenziale resta una che la risemplifica di colpo: quella del bene e del male, della lotta fra i due. La sostanza di ogni letteratura degna di questo nome, come di ogni vita umana e società, è probabile che resti questa.

La riflessione torna alla mente anche in merito delle distopie letterarie. Sulle quali altre riflessioni si ripresentano. Pensare un futuro che tende al positivo ma circoscritto, concreto, verosimile è così difficile da potersi dire impossibile, e insieme per nulla attraente per chi scrive, forse anche per chi legge, ma non possiamo verificare. L’utopista dunque inventava di sana pianta un mondo distantissimo dal presente, geometrico fino all’astrazione, fondandolo su libri e teorie e forse ha esagerato. Non ha suscitato eredi. Una teoria basata su teorie mai concretate nella storia, ecco la Città o lo Stato poco allettante dell’utopista. La distopia ha il vantaggio di poter partire dal presente, colmo di addentellati per le prospettive più inquietanti: con piccoli o grandi spostamenti può entrare nel futuro senza uscire dalla realtà, forgiando un mondo allarmante perché plausibile.

Plausibile da qualche parte, ma non "qui", ripetono i personaggi di ‘Qui non è possibile’ (It can’t happen here, cito il titolo italiano della prima edizione, Jandi Sapi, del 1944) di Sinclair Lewis (1935) salvo il protagonista, l’affabile, amabile Doremus Jessup. E il romanzo ci propone la distopia proprio affabile, con andamento di commedia almeno nella prima parte. La distopia che non sembra distopica perché è un presente spostato di qualche mese, di giorni. Lewis racconta un presente "alternativo" della sua America – partendo dal Vermont – così simile, solo nelle premesse per fortuna, a vari altri presenti statunitensi anche vicini a noi: appena passati o imminenti, fra un paio d’anni, chissà. Si dice bene che il profeta sia un lettore del presente o del passato: scopre segnali di un avvenire nefasto forte della conoscenza di quegli stessi segnali ben visibili ora, a chi vuol vederli, o ben ricordabili. E il profeta non sarebbe che un coraggioso, tempestivo, eccellente psicologo.

‘Uno di noi’

Buzz Windrip si presenta come tutti potenziali despoti: gentile e tollerante e "uno di noi". E col diminutivo del nome (Bezelius). Fa della mediocrità la sua prima dote. Ma quando qualcuno avanza sospetti – in Europa intanto fa ciò che vuole un pugno di dittatori – amici o conoscenti rispondono che "da noi non è possibile", con piccole variazioni: qui non può accadere; non negli Stati Uniti... Continuano a dirlo anche quando Windrip diventato presidente reprime e incarcera, fa sparire e proclama partito unico il Partito Corporativo della Nazione. Crea la sua brava classe di pretoriani. Tutto secondo plurimillenario copione, inclusi i milioni di fiduciosi votanti.

Ogni cosa accade gradualmente e in sordina, con votazioni regolarissime. E noi siamo contenti di trovare protagonista proprio Doremus per cui subito parteggiamo – consapevoli che patiremo fino all’ultima pagina – non solo nella presa di coscienza delle circostanze, ma nel modo di difendere la sua opinione. La difende mitemente, e mitemente gli ribattono gli amici o i conoscenti che la vedono in tutt’altro modo. Liberali e conservatori conversano come nel più affiatato gruppo dei soli uni o altri. E in tanta agevolezza di passaggi, in così bassa tensione, davvero cominciamo a temere il peggio. L’essere direttore di giornale, l’Informer, con l’integrità che gli indoviniamo fin dal primo incontro, gli renderà la vita più difficile. E quando comincia a essere troppo – il ministro dell’Istruzione che irrompe, ubriaco, nella casa di un rabbino che ospita in quel momento il suo vecchio maestro (del ministro) e che dopo una serie di provocazioni, li uccide – Jessup decide di reagire. Scrive un editoriale che comincia: "Pensando che l’incapacità e i delitti dell’amministrazione corpoista fossero dovuti alle difficoltà che incontra ogni nuova forma di governo, attendemmo pazientemente ch’essi giungessero alla loro fine. Ci scusiamo presso i nostri lettori per questa pazienza", e continua peggio: "Questo scemo di Windrip e i pirati che lo circondano...". Lo fa leggere alla moglie, al genero, all’amante. Gli incoraggiamenti a pubblicare prevalgono sulle dissuasioni ma ormai sono le undici di sera, è troppo tardi. Ma sappiamo che presto troveremo una frase come: "Il giorno in cui apparve il suo articolo...", e la troviamo. E la sorte di Jessup precipita in poche ore. Lo salva dal linciaggio il suo ex giardiniere diventato governatore di Contea. Lo salva e lo incarcera. Poi l’omicidio del genero, il processo suo, gli editoriali filo-governativi ma "a doppio taglio", per chi vuol intendere, la fuga tentata verso il Canada... Il resto si potrà leggere, ne vale la pena, oltre che nella prima edizione (trad. di Gaetano Carancini), in quella Passigli del 2016, e ora per Landscape Books, 2022.

Ironia e spavento

Chissà se l’autore sapeva fin dall’inizio che piega avrebbe preso la sua storia. Quel che è certo è che l’aria di commedia alimenta la tensione più che attenuarla. E il suo dono per l’ironia, presente in ogni suo libro, qui diventa l’alleato dello spavento. Leggendo una distopia penso ancora alle utopie. In così totale disinteresse o capacità di pensare, ma nel dettaglio, un futuro più vivibile del presente, si potrebbe ricorrere a un sotterfugio. Non è che non si scrivano romanzi "positivi" passabili. Romanzi credibili e ben fatti, o più che bene, che non ti facciano disperare, se non del futuro, del presente. Non se ne potrebbe scrivere pensando proprio al presente, con la migliore idea che venga a uno dei migliori scrittori o scrittrici del nostro tempo, e ambientarlo poi, a cose fatte, nel 3002? Sinclair Lewis ha scritto il suo romanzo in presa diretta sull’onda di ciò che avveniva in Europa in quegli anni, con chiaroveggenza minuziosa. Magari solo per aver sentito dal dentista o da un amico, dalla moglie: "Per fortuna qui non può succedere". O dopo averlo pensato lui stesso. Con tutti i segnali diventati certezza, si continuava a non crederlo possibile.

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