laR+ Museo delle dogane

Storie di uomini e di ramina, là dove tutto è accaduto

A Cantine di Gandria la mostra 'Un confine tra povertà e persecuzioni’, contrabbandieri e profughi al confine italo-svizzero durante la Seconda guerra mondiale

(Ti-Press)
21 giugno 2021
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«Il contrabbando al confine tra Italia e Svizzera è una storia che arriva dalla notte dei tempi. Da sempre, anche quando l’Italia non esisteva». Parole dello storico Adriano Bazzocco, una tesi di dottorato sulla storia del contrabbando tra le due nazioni che verrà pubblicata il prossimo anno e che ha portato a una mostra intitolata ‘Un confine tra povertà e persecuzioni’, la prima di due esposizioni allestite – virtualmente, nel caso della seconda – al Museo svizzero delle dogane alle Cantine di Gandria, che in questi giorni ospita un sunto delle vite di contrabbandieri e profughi al confine italo-svizzero durante la Seconda guerra mondiale. Frutto di nuove ricerche archivistiche, concepita da Bazzocco con Stefania Bianchi, realizzata per il museo dallo scenografo Emmanuel Urban, la mostra illustra i meccanismi del contrabbando, un tempo ‘integrato’ e privo di giudizio morale, acuitosi dopo l’occupazione da parte della Wehrmacht dell’Italia centro-settentrionale, da cui l’afflusso di profughi per i quali Cantine di Gandria rappresentò la via di fuga dalle persecuzioni, e le cui storie, alcune di esse, sono oggetto della parte più toccante della mostra.

Il Grande paradosso

Adriano Bazzocco è andato a investigare «cosa successe a Cantine di Gandria – racconta alla ‘Regione’ – sia per quanto riguarda il contrabbando sia per quel che riguarda i profughi». E nella prima stanza, nella quale il pavimento è la mappa di dove ci troviamo e le pareti la ramina, si dipana la storia di finanzieri e spalloni, di cani contrabbandieri e miti del contrabbando come Clemente Malacrida, ‘Il Duca della montagna’, che tentò di sconfinare da Arogno col suo ‘esercito’ di 131 spalloni; nella prima stanza, fisicamente, stanno anche gli attrezzi del mestiere: la bricolla in tela di juta, le pedule (sovrascarpe) per non far rumore e non lasciare tracce; il bastone per reggersi sotto il peso della merce caricata in spalla e la roncola con la quale, eventualmente, recidere le spalline della bricolla per poi darsi alla fuga.


Tra il lago e la ramina (Ti-Press)

La seconda stanza è ‘ambientata’ durante la Seconda guerra mondiale, ovvero quando «il contrabbando entra nella sua fase più epica, ma anche drammatica», ci spiega Bazzocco. «Epica perché raggiunge un’intensità spaventosa, mai conosciuta nella sua storia, e perché cambia la fisionomia: non si esportano più merci dalla Svizzera verso l’Italia, ma viceversa». È il ‘Grande paradosso’, titolo di una delle sezioni, e cioè i contrabbandieri italiani che «cercano di portare in Svizzera tutto quello che riescono a vendere, soprattutto riso, scomparso dalle tavole dei confederati, per ottenere preziosi franchi svizzeri da rivendere sul mercato nero della valuta italiana, in preda a un’inflazione spaventosa. Il paradosso fu che la popolazione italiana ridotta alla fame per l’occupazione nazista riforniva la Svizzera». Per quanto il tema lasci poco spazio a divagazioni ironiche, la seconda sala – alla sezione ‘La genialità dei contrabbandieri’ – regala anche un sorriso riportando le immagini del sommergibile artigianale in legno, rivestito di metallo, scoperto dalle guardie di Finanza italiane nel novembre del 1948 nelle acque di Porto Ceresio. Un sommergibile silenziosissimo (in quanto a pedali...).

Destini

Nella terza stanza, ad accogliere i visitatori è una sorta di lapide digitale coi nomi di chi, a Cantine di Gandria, fu accolto e quelli di chi fu respinto, destini vicini come la sfumatura che sta tra il bianco e il grigio. «È la stanza in cui affrontiamo la vicenda dei profughi, le migliaia e migliaia di ebrei, antifascisti, rifugiati politici, di soldati alleati fuggiti dai campi d’internamento dopo l’occupazione dell’Italia centro-settentrionale, che si riversano in direzione della Svizzera cercandovi rifugio», spiega Bazzocco. «E nella terza stanza ci sono le quattro storie di profughi ebrei presentatisi proprio a Cantine di Gandria». Stanza nella quale, in sottofondo, si ascolta ‘La forza del destino’ di Verdi diretta da Arturo Toscanini, perché a Cantine di Gandria, tra i molti profughi accolti, ci fu anche la figlia Wally.


‘La forza del destino’ nella terza stanza (Ti-Press)

Scorrono dall’alto verso il basso, i nomi, su di una parete scura di fronte alla quale stanno le ‘Quattro storie di persecuzioni e fuga’, o anche i ‘Quattro destini passati da Caprino’, da leggersi per intero ‘sul giornale’. Storie come quella degli ebrei berlinesi Isidor e Rosa Jakubowski, commercianti di tessuti, un figlio – Hans – mandato a studiare a Treviglio con l’inizio delle prime persecuzioni naziste; la madre che lo raggiunge in Italia, e quando il settimanale di propaganda antisemita ‘Der Stürmer’ dà voce all’odio di un lettore che di Isidor fornisce generalità e indirizzo, anche l’uomo fugge nella Penisola fresca di leggi razziali. Da Milano, dopo i vani tentativi di emigrare negli Stati Uniti o in Inghilterra, il capofamiglia finisce nel campo di concentramento di Urbisaglia (Macerata), e Rosa e il figlio Hans decidono di attraversare le montagne della Valle d’Intelvi, poco sopra il museo; respinti per ben due volte, li salverà da Auschwitz il soldato ticinese incaricato di riaccompagnarli nuovamente in Italia, mosso da pietà. Il resto è nella storia da consultarsi in loco, nei documenti d’identità originali della donna, in una teca con l’altrettanto originale registro dei profughi giunti al posto di confine di Caprino, dove oggi ha sede il Museo.

Tra le quattro storie, quella del medico torinese Leonardo De Benedetti, respinto con la moglie Jolanda perché nel 1943 direttive di Berna impongono l’accettazione di anziani, malati e famiglie con bambini, e Leonardo e Jolanda sono soltanto una famiglia, senza bambini. Finiranno ad Auschwitz, dove De Benedetti farà amicizia con Primo Levi e insieme a questi, quando l’esercito sovietico chiederà loro di redigere un rapporto sulle condizioni sanitarie in essere ad Auschwitz, i due sopravvissuti alla Shoah – medico il primo, chimico il secondo – produrranno uno dei primi scritti sul famigerato campo di concentramento (di Leonardo si legge in ‘La tregua’).


Adriano Bazzocco (Ti-Press)

Online

«Siamo stati catapultati in una nuova situazione per noi decisamente straordinaria. Per questo sono stati fatti sforzi enormi per allestire un’esposizione digitale, imparando molto, non essendo noi ‘nati’ digitali. L’apertura della stagione è stata diversa dal solito, ma siamo qui». Così spiega Maria Moser, responsabile del Museo, l’origine di ‘Stra-Ordinario’, mostra multimediale nata da un evento storico come la chiusura dei confini svizzeri per pandemia. All’interno del Museo delle dogane, ‘Stra-Ordinario’ occupa una stanza, ma l’esposizione è digitale, accessibile collegandosi a www.straordinario.ch. «L’anno scorso a Pasqua avremmo tanto voluto aprire, il museo rappresenta la storia e l’identità della dogana svizzera, abbiamo voluto comunque documentare quello che è successo». Ecco dunque – attraverso reportage, testi, immagini e video – 17 episodi di vita lavorativa dell’Afd durante il periodo di chiusura dei confini. «È spiegato il nostro lavoro, ma anche come la situazione ci abbia uniti».


Maria Moser, responsabile del Museo delle dogane (Ti-Press)

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