Culture

'Gualazzi, finalmente'

17 giugno 2016
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Il “no” del direttore artistico ad un Raphael Gualazzi non ancora maturo (correva l’anno 2004) è stata la notizia del giorno alla conferenza di presentazione di Jazz Ascona 2016. Il sopravvenuto successo internazionale del pianista, anni dopo, ha reso nel tempo più difficile poterlo ospitare. Meglio così, viene da dire, perché ora l'attesa è ancor più alta che in passato, e l’artista che arriva ad Ascona mercoledì 29 giugno (ore 21, palco Jazz Club Casinò) può considerarsi pienamente “adulto”.
Gualazzi a Jazz Ascona, finalmente: di questo sodalizio ci parla in prima persona il pianista-cantante, generoso e senza filtri, ma impenetrabile ed abbottonato su ogni tipo di novità a lui riconducibili...

Ascona è un ritorno in Svizzera...

Amo questa terra. Uno dei miei ricordi più belli è il Théâtre du Jorat di Mézières, completamente costruito in legno. Dentro c'era un fantastico pianoforte a coda ed un acustica perfetta, una struttura che in una piccola cittadina come quella non mi sarei mai aspettato di trovare.

Anni fa un viaggio a New Orleans. Un ricordo?

Vado in America almeno una volta l'anno, sono stato di recente a New York per un nuovo progetto (così come sul nuovo disco, impossibile saperne di più, ndr). Di New Orleans ricordo le jam con i musicisti e la stupenda esperienza di stare ad ascoltarli. In quel posto regna una cultura meravigliosa che a me sembra davvero l'origine di tutto.

In mezzo a tanto synthpop, come si arriva secondi ad Eurosong suonando jazz?

E' fondamentale andare controcorrente nella musica, sempre. Non bisogna lasciare mai che il contesto che ti circonda ti cambi, o limiti le tue follie. Voglio citare Freddie Mercury ed un'intervista nella quale parlava di come la critica del tempo trovasse assurda la fusione dell'opera lirica con il rock. Il successo popolare di “Bohemian Rhapsody” è un grande invito alla follia rivolto a tutti. Sempre studiando, è chiaro.

Quindi non esiste musica superiore e musica di seconda scelta...

Esiste la musica suonata onestamente. Quando ascolto un brano di un altro artista e questo brano è onesto, porta con sé una vibrazione di verità. Può non essere un brano sofisticato, può essere anche la cosa più semplice al mondo, ma l'onestà si percepisce, in ogni caso.

Ti definisci “pianista prima che cantante”: ma quali sono le voci che ti hanno ispirato?

Molte, e in base al tipo di brano nel quale mi calo. In “Un mare in luce” (dall’album “Happy mistake”, ndr) credo di aver pensato molto a George Brassens. Altre cose sono più vicine al mondo di Al Green, Curtis Mayfield, e in “Follia d'amore” c'è lo swing italiano che parte da Modugno e arriva fino a noi.

Hai detto “non cambierei il mio successo con quello di un cantante di talent”. Ti vedremo un giorno sulla poltrona del giudice?

Riguardo ai talent, non ho pregiudizi. Che tu venga dal nulla, o abbia una lunga gavetta, se anche il risultato dell'esposizione mediatica è un plebiscito, quella gavetta in qualche modo te la dovrai fare.
Per quanto riguarda la sedia del giudice, un giorno potrei anche cimentarmi, tutto sta cambiando. Ma se mai dovessi giudicare una persona di talento, con il doppio della mia esperienza e che magari non è mai riuscita a sfondare, non è escluso che sarei io quello con qualcosa da imparare.

Grande popolarità e grande musica possono convivere?

Credo che l’importante sia rimanere fedeli a se stessi, e fare tesoro degli insegnamenti. Mi capita di portare sul palcoscenico consigli che mi hanno dato i produttori con i quali ho lavorato, di arrangiare i brani secondo quello che è il mio modo di sentirli, ma responsabilizzato ed arricchito dell'esperienza che viene dal lavoro di studio, il tutto senza mai tradire i miei gusti musicali.

Per finire: il disco che nessuno si sognerebbe di trovare in casa Gualazzi?

Non saprei... forse un vinile di Secondo Casadei, nel quale c'è una registrazione di un loro brano con l'orchestra, uno standard meraviglioso. Ecco, nella semplicità dei temi di una volta c'era davvero della grande musica...

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