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‘Sarebbe come fare sparire l’intera Rsi’

Il canone giù di 35 franchi e il mancato carovita toglierebbero alla Ssr 240 milioni: ‘Un budget simile al nostro’, dice Timbal. A rischio 900 impieghi

Il direttore della Rsi sull’iniziativa popolare: ‘Anche stavolta dimostreremo il valore del servizio pubblico per la Svizzera’
(Ti-Press)
20 novembre 2023
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«Quantitativamente, un taglio di 240 milioni al servizio pubblico audiovisivo equivarrebbe alla cancellazione dal panorama mediatico svizzero della Rsi, che ha un budget simile». Mario Timbal, direttore della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana, illustra con questo paragone l’effetto della proposta di modifica di Ordinanza – in consultazione da una decina di giorni e fino al 2 febbraio – con cui il Consiglio federale intende ridurre il canone radiotelevisivo per le economie domestiche dagli attuali 335 franchi a 300 (in due tappe, entro il 2029) ed esentare dal suo pagamento 63mila aziende in più rispetto a ora. Obiettivo: fare un passo verso i promotori dell’iniziativa popolare ‘200 franchi bastano’, definita dal ‘ministro’ delle Comunicazioni Albert Rösti “troppo radicale”. Nella propria presa di posizione nell’ambito della consultazione, la Società svizzera di radiotelevisione (Ssr) calcola in 240 milioni la perdita di proventi conseguente alla controproposta dell’esecutivo unita all’annunciata soppressione della compensazione del rincaro e alla diminuzione degli introiti pubblicitari. Scenario che porterebbe a una “massiccia riduzione del personale”, oltre che della programmazione. Ne abbiamo parlato con Timbal.

Secondo la Ssr ci sarebbe il rischio di una soppressione graduale di circa 900 posti di lavoro nelle regioni entro il 2027. Cosa succederebbe nella Svizzera italiana?

Innazitutto salutiamo favorevolmente il fatto che il governo rifiuti l’iniziativa popolare. Significa che il consigliere federale Rösti, che era uno dei firmatari, dovendo approfondire quello che è la Ssr, ne ha riconosciuto il valore. Lo dimostra anche il fatto che abbia sottolineato l’importanza dell’ancoraggio alle regioni e della presenza decentralizzata della Ssr. Allo stesso tempo però la proposta alternativa del Consiglio federale provocherebbe un effetto molto marcato, con una riduzione del budget più vicina al 20% che al 10%. Per la Svizzera italiana non abbiamo ancora una quantificazione precisa, né finanziaria, né sui posti di lavoro, perché la Ssr si basa su una chiave di riparto che viene applicata anche per i risparmi, ma che in questo caso non è nella proporzione “uno a uno”. Ci sono ad esempio dei risparmi a livello centrale soprattutto sulle infrastrutture che porterebbero a una variazione della percentuale da tagliare tra le regioni linguistiche.

Albert Rösti ha dichiarato che da un’azienda con oltre 6mila collaboratori ci si aspetta che la riduzione avvenga soprattutto attraverso la fluttuazione ordinaria del personale. È possibile?

Il consigliere federale ha fatto queste riflessioni basandosi su una cifra di 170 milioni (considerando solo gli aspetti del carovita e non quelli della pubblicità nel 2027, ndr). Ma su 240 milioni pensare di operare unicamente con pensionamenti, prepensionamenti o fluttuazione normale non è possibile. Sia a livello nazionale, sia a livello regionale, se le misure proposte dal governo venissero applicate si assisterebbe a una riduzione del personale mai vissuta prima e sicuramente superiore, e non di poco, a quella che permetterebbero pensionamenti e fluttuazioni.

È decisione dell’8 novembre anche l’abolizione totale o parziale della compensazione del rincaro a favore della Ssr a partire dal 2025. Il prossimo anno la Rsi, che è il secondo datore di lavoro in Ticino dopo il Cantone (il quale, come noto, non concederà il carovita), adeguerà gli stipendi dei propri dipendenti?

Abbiamo fatto una prima discussione in proposito, ma una decisione, che va presa discutendo anche con i partner sociali, non c’è ancora. Arriverà nelle prossime settimane. Sul 2024 la compensazione del rincaro ci verrà comunque ancora corrisposta dal Consiglio federale, si tratta però ora di trovare un equilibrio molto delicato. Ci aspetta un periodo particolarmente difficile: da un lato dobbiamo motivare i nostri collaboratori, ma dall’altro le prospettive di risparmio fanno sì che questa concessione non possa avvenire in modo automatico nemmeno per l’anno prossimo.

Come si giustifica il mantenimento del canone attuale considerando che i cittadini ricorrono sempre meno all’offerta Ssr e Rsi, e che il loro budget per i media è in continuo aumento in ragione dell’utilizzo crescente di servizi televisivi e di streaming a pagamento?

Bisogna prima di tutto ricordare che dal 2018 a oggi il canone è sceso del 25% a causa di un adeguamento deciso da Doris Leuthard al momento della bocciatura di ‘No Billag’. Quanto alle piattaforme e ai canali tematici, si tratta di fornitori di contenuti che hanno un mandato totalmente differente rispetto al nostro, che è quello di toccare più popolazione possibile. I dati attuali mostrano che la maggior parte del popolo svizzero utilizza i programmi della Ssr. È vero: con meno frequenza di un tempo, non sempre sul lineare, però la fruizione è costante e le quote di mercato restano comunque molto alte. Inoltre questo utilizzo aumenta nei momenti di crisi e di bisogno in cui si vede l’utilità fondamentale del servizio pubblico, come è stato il caso con le prime conferenze stampa del governo sulla pandemia, o allo scoppio delle guerre in Ucraina e tra Israele e Palestina. Da tutti gli studi effettuati, e anche dall’ultimo pubblicato dall’Università zurighese, risulta che la Ssr resta un media di riferimento con una rilevanza altissima.

Stando alla Ssr un servizio di media pubblici con meno risorse impedirebbe di combattere efficacemente la problematica di una quota in costante aumento di popolazione che non consulta né ascolta più i mezzi d’informazione, ciò che rappresenta una minaccia per il buon funzionamento della democrazia. È una battaglia che state effettivamente portando avanti?

Sì, assolutamente. Ad esempio spostando le risorse verso l’online perché ci sono gruppi target come i giovani che spesso raggiungiamo solo con i media digitali. Stiamo facendo il possibile per portare i contenuti del servizio pubblico a tutti attraverso formati e vettori che rientrino nelle abitudini di fruizione delle varie fasce della popolazione.

A proposito di digitale, le associazioni degli editori affermano che è urgente ridefinire il mandato della Ssr per limitare le attività online che entrano in diretta concorrenza con la produzione dei media privati, mettendo a repentaglio l’offerta di informazioni. Cosa ne pensa?

Uno studio condotto lo scorso anno in Norvegia afferma il contrario: avere un media di riferimento gratuito online non limita la disponibilità della gente a spendere dei soldi per avere accesso a un altro tipo di informazione o di approfondimento. Da parte mia penso sia un po’ semplicistico sostenere che l’informazione Ssr “libera” impedisca agli altri media di creare abbonamenti. Secondo lo stesso ragionamento anche la nostra offerta televisiva di fiction dovrebbe impedire ad esempio di pagare per Netflix, ma questo non è il caso. Capisco le preoccupazioni degli editori perché il panorama mediatico in Svizzera attualmente è estremamente difficile, ma tutti – privati e servizio pubblico – dobbiamo cercare delle soluzioni. È importante in particolare per mantenere l’identità della Svizzera, un Paese fondato sulla diversità che ha bisogno di media regionali ma anche di almeno un media nazionale che garantisca la coesione.

Anche lei, come la Ssr, è convinto che i cittadini respingeranno l’iniziativa popolare ‘200 franchi bastano’ che approderà alle urne nel 2026?

Sarei al posto sbagliato se non fossi sicuro che il servizio pubblico riesca a mostrare il suo ruolo indispensabile. Sono convinto che continuare la trasformazione e il rinnovamento dell’offerta per cercare di raggiungere più persone possibile con i contenuti di servizio pubblico sarà pagante alle urne. La funzione identitaria e di coesione, nonché il valore aggiunto che diamo alla società verranno messi chiaramente in evidenza, come è stato il caso con ‘No Billag’. E anche stavolta il popolo saprà decidere.

Delle 128mila firme raccolte, 30mila verrebbero dal Ticino: come legge questo dato? È un attestato di sfiducia verso la Rsi?

La cifra non mi stupisce. Gli iniziativisti hanno fatto un ottimo lavoro in Ticino con moltissimi punti di raccolta firme e questo in un momento economico difficile dove argomenti di risparmio hanno parecchia presa. Ma come vedo anche in questi giorni dalle attestazioni di importanza che il servizio pubblico sta ricevendo, il Ticino non è solo quelle 30mila firme. Abbiamo una quota di mercato molto importante che ogni giorno si affida a noi per l’informazione ritenuta chiara e precisa. Un elemento fondamentale per la nostra democrazia che, ne sono certo, continuerà a essere riconosciuto.

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