Ticino

Pensioni dei ‘ministri’, la Gestione approva il compromesso

Si avvia alla conclusione l'affaire della previdenza dei consiglieri di Stato, tra indennità e rendita ponte la materia sarà così regolata dal 1° gennaio

Ti-Press
6 ottobre 2020
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Dopo anni di discussioni e polemiche, qualcuna sfociata in segnalazione all'autorità giudiziaria, la questione delle pensioni dei consiglieri di Stato potrebbe essere presto risolta. Oggi la commissione parlamentare della Gestione ha sottoscritto il rapporto che propone al plenum del Gran Consiglio l'affiliazione all'Istituto di previdenza del Canton Ticino anche dei cinque ministri. Il testo porta la firma dei membri della sottocommissione ‘previdenza’ - Anna Biscossa (Ps), Samantha Bourgoin (Verdi), Boris Bignasca (Lega), Bixio Caprara (Plr), Giorgio Fonio (Ppd) e Paolo Pamini (Udc) - e fissa dei paletti a partire dal 1° gennaio 2021. L'indennità di uscita, si legge nel rapporto, “è versata a coloro che cessano la carica prima dell'anno del compimento di 55 anni. Il reddito ponte è versato a coloro che hanno compiuto 59 anni nell'anno della cessazione della carica. Chi invece abbandona la carica dall'anno del compimento di 55 anni, ma prima di quello del compimento di 59 anni, ha diritto di scegliere tra l'indennità di uscita e il reddito ponte”.

Prestazioni, queste, che saranno versate “ai membri che lasciano il Consiglio di Stato” e il diritto a goderne è “riconosciuto in tutti i casi di cessazione della carica”. L'indennità di uscita - la liquidazione, insomma - “è basata sulla durata della permanenza in carica. Essa ammonta - si continua a leggere nel rapporto commissionale - al 25 per cento dell'onorario lordo per ogni anno di permanenza in carica nei primi quattro anni. Si riduce al 22,5 per cento per ogni anno tra il quinto e l'ottavo in carica e al 20 per cento per ogni ulteriore anno di carica dal nono anno”. Sono considerati “al massimo dodici anni” in modo che “l'indennità massima ammonta al 270 per cento dell'onorario lordo”. Anche per quanto riguarda il reddito ponte sono considerati al massimo dodici anni, e al massimo potrà ammontare al 48 per cento dell'onorario lordo annuo.

Questo compromesso «andrà in aula nella seduta che avrà inizio il 19 ottobre» ci spiega il presidente della Gestione Matteo Quadranti (Plr). Un compromesso «di cesello, frutto di molto lavoro e di cui siamo soddisfatti», afferma.

«Il tema ha richiesto molta fatica per recuperare una situazione che si è protratta nel tempo, perché occorreva trovare una soluzione rispettosa della particolarità della carica di consigliere di Stato» rileva da noi interpellato il co-relatore per il Plr Bixio Caprara. Perché «si dovrebbe partire dal presupposto che chi viene eletto come consigliere di Stato ha funzione e attività professionali molto importante, la proposta e le condizioni previdenziali devono anche essere attente al fatto che le indicazioni statistiche ci dicono che la carriera dura circa 12 anni e si svolge tra i 40 e i 52 anni. E succede che di solito si lascia una carriera per entrare in governo, ma si sa già che comunque ci sarà un dopo: non si può partire dal presupposto che poi si va in pensione nei termini canonici a 65 anni». Soddisfazione per aver trovato una soluzione? Piano: «La soddisfazione ci sarà quando il Gran Consiglio darà il proprio via libera...», chiosa Caprara. 

Forse ci sarà un emendamento del Ps

Non tutti hanno firmato il rapporto, frutto del lavoro della sottocommissione istituita ad hoc. Non lo ha sottoscritto, per ora, il Ppd. E, par di capire, più che altro per una questione di metodo. «Non è che non l’abbiamo firmato perché non siamo d’accordo con il rapporto. Anzi, il testo in sé è condivisibile. Ma oggi (ieri, ndr.) ci viene preannunciato che i socialisti presenteranno un emendamento: beh, questo non è un modo corretto di procedere», rileva, interpellato dalla ‘Regione’, il capogruppo dei popolari democratici Maurizio Agustoni -. Sui singoli aspetti ognuno può avere opinioni diverse, l’idea però era di arrivare a un rapporto unico su un tema molto delicato e sensibile. Secondo noi, non è accettabile che quando si fanno esercizi di equilibrio e di compromesso, alla fine di un lavoro serio vi sia un gruppo parlamentare di un partito di governo che preannuncia un emendamento». Conclude Agustoni: «Ne discuteremo ancora al nostro interno ovviamente, tuttavia per il momento abbiamo ritenuto di non firmare il rapporto». Un emendamento in vista?  «Si potrebbe farlo, ma non è ancora deciso», sostiene il capogruppo del Ps Ivo Durisch. L’emendamento riguarderebbe l’aspetto della liquidazione. «Nel rapporto - riprende Durisch - si parla del 270 per cento dello stipendio, si potrebbe eventualmente portarla, a nostro parere, a 240, come per i capidivisione». A scanso di equivoci, Durisch tiene a chiarire che i socialisti «sostengono comunque il rapporto». Anche perché «è una vittoria e non solo per noi: la nostra iniziativa viene evasa in maniera positiva. Si risolveranno diversi problemi giuridici, delle questioni aperte da anni, come il contributo sostitutivo e altre. Con l’affiliazione all’Istituto di previdenza del Canton Ticino la materia verrà regolamentata della legge superiore, quella federale.  Si tratta di un grosso passo avanti, all’insegna anche della chiarezza». 

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