Ticino

La piazza finanziaria ha cambiato volto

Il settore esce stravolto da un decennio di crisi legata alle vicende italiane. Per Alberto Petruzzella è il Private banking ad aver risentito maggiormente

Efg è emblematica del processo di mutamento del settore (Ti-Press)
26 luglio 2019
|

Negli ultimi dieci anni la piazza finanziaria ticinese, in particolare quella bancaria, ha cambiato volto in modo radicale, sia per quanto riguarda il numero di addetti (5’658 a fine 2017; erano 7’713 nel 2007), sia per il numero di istituti (42 a fine 2017; 75 nel 2007). Un cambiamento della struttura dovuto a una serie di eventi concomitanti: fine del segreto bancario; difficoltà del mercato più prossimo, quello italiano e la continua erosione dei margini che uniti al rafforzamento del franco svizzero nei confronti delle principali valute e ai tassi d’interesse negativi rendono la vita difficile soprattutto agli istituti votati al private banking. Insomma, la redditività in generale si è ridotta e se un’azienda (non per forza finanziaria) non guadagna abbastanza per remunerare il capitale investito è costretta a risparmiare o aumentare ‘l’efficienza’ della struttura dei ricavi.
Ed è quello che sta cercando di mettere in atto Efg International (i risultati semestrali sono stati presentati mercoledì di questa settimana, ndr) che è alle prese con un processo d’integrazione di quella che fu la ex Bsi. Dalla fine del 2016 a oggi, infatti, Efg International ha ridotto di 377 unità il personale del gruppo, in gran parte in Ticino. A fine giugno però il gruppo Efg International aveva in organico 3’195 dipendenti (42 in più rispetto a fine 2018). Questo vuol dire che oltre ai tagli annunciati al momento della fusione (tra le 300 e 450 unità su tre anni ed entro la fine di quest’anno), nel frattempo sono state fatte anche delle assunzioni (94 consulenti alla clientela) e altre se ne faranno, come annunciato dal Ceo di Efg Giorgio Pradelli.
«La situazione della piazza finanziaria rimane difficile, ma il peggio sembra essere passato anche se bisogna distinguere tra banche votate al Private banking con clientela residente all’estero e chi opera sul mercato domestico», ci spiega Alberto Petruzzella, presidente dell’Abt (Associazione bancaria ticinese). «Gli istituti che hanno attività domestiche (crediti ipotecari e commerciali; attività di retail, ecc.) stanno ottenendo dei buoni risultati, nonostante i tassi negativi. Anche le grandi banche che offrono questo tipo di attività, oltre al private banking, registrano risultati solidi. Faticano gli istituti dove l’attività di private banking è prevalente», aggiunge ancora Petruzzella che precisa che da ormai dieci anni, il principale mercato di riferimento – quello italiano – è in difficoltà per la semplice ragione che l’economia italiana non cresce. «Se non si crea ricchezza, quest’ultima non arriva nelle banche. Anzi, è vero il contrario: i clienti tendono a ritirare i loro capitali perché ne hanno bisogno».
A questo dato congiunturale se ne aggiunge un altro di natura legale: la difficoltà di accesso al mercato italiano. «È già difficile crescere in condizioni normali, con il piombo ai piedi è difficilissimo. Negli ultimi mesi è poi sorto un altro problema di natura fiscale visto che i soggetti esteri che operano sul mercato italiano, anche indirettamente, sono considerati contribuenti italiani (la cosiddetta stabile organizzazione, ndr). Di fatto sono misure protezionistiche. Resta il fatto che Governo italiano si era impegnato con quello svizzero a facilitare l’accesso e non a complicarlo», conclude Petruzzella.

Alberto Petruzzella (Abt): ‘Ponderare bene i rischi nella scelta dei mercati da sviluppare’

Tra difficoltà di accesso al mercato e cambiamenti anche regolatori e tecnologici, la pressione sui piccoli e medi istituti rimane elevata. È diverso il discorso per Ubs e Credit Suisse che operano a livello globale dove un mercato che cresce molto compensa un altro in arretramento. «La diversificazione è una strada percorribile anche per i piccoli, ma bisogna ponderare bene la scelta dei mercati da sviluppare», spiega Alberto Petruzzella.

Per quanto riguarda il Private banking, il Sud America, l’Asia o l’Est europeo sono spesso citati come economie in crescita e potenzialmente affrontabili anche dal Ticino.
È vero, ma oggi il mondo è cambiato e bisogna affrontare questi mercati con le dovute cautele. Fino a qualche anno fa, teoricamente, un istituto poteva permettersi di prendere in considerazione di occuparsi di decine di mercati esteri. La legislazione vigente era quella svizzera. Oggi le condizioni sono mutate e il solo rispetto delle norme elvetiche non è più sufficiente. Dobbiamo rispettare anche le leggi fiscali e di protezione del risparmiatore del Paese di residenza del cliente. I costi di compliance e di consulenza sono quindi elevati. Ricordo gli ingenti investimenti informatici fatti in questi anni per adeguare la reportistica fiscale agli standard internazionali. Da qui l’esigenza di avere massa critica sufficiente per generare redditività.

A questo punto converrebbe aprire una struttura direttamente in quel Paese?
Non per forza. E spesso è più caro. Bisogna solo scegliere bene i mercati e ponderare i rischi reputazionali. La strategia di diversificazione la si può fare, ma le banche piccole e medie hanno bisogno di muoversi bene. È un processo di selezione lungo che necessita di aver ben presente qual è la strategia.

Anche il commodity trading finance è citato come attività emergente.
È certamente un settore interessante con grandi volumi, ma piccoli margini. Le grandi però realtà non lo fanno dal Ticino. Per altre più piccole è una nicchia che non compensa i posti persi.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔