Intervista a tutto campo al giornalista, divulgatore scientifico e produttore. E sul suo stile dice: 'L'importante è essere se stessi'
Da quando c’è lui tira un’altra aria. Azzeccate oppure no, le previsioni del tempo hanno cambiato stile. Non lo diciamo (solo) noi: Piernando Binaghi, giornalista e produttore della Meteo alla Rsi dal 1998, nel 2002 si è aggiudicato il ‘Prix des Médias’ per il programma meteorologico dai migliori contenuti giornalistici e divulgativi. A vent’anni dalla sua prima apparizione a/da Comano, ha deciso che è tempo di dedicarsi alle attività che nel frattempo ha sviluppato privatamente. Dimissioni già inoltrate ai piani alti, ultima puntata prevista a fine febbraio 2019.
Sento di aver ricevuto molto e aver dato tanto. Il bilancio di vent’anni è senz’altro positivo, con belle soddisfazioni e qualche momento di amarezza. Ciò che mi induce a lasciare oggi è che a 54 anni ho fatto il punto della situazione e mi sono detto che un altro decennio a fare solo la Meteo è un po’ un peccato... Voglio dare di più alle persone. E per riuscirci ho trovato utile fare un percorso personale, che spazia dall’essere diventato trainer in programmazione neurolinguistica al lavorare nell’ambito del trading e degli investimenti finanziari. Sarà il punto centrale della mia attività (www.piernandobinaghi.com), oltre ad essere il punto di confluenza tra le due professioni: tra finanza e climatologia ci sono diverse affinità. Regole diverse ma concetti abbastanza simili.
Letteralmente: io ho voluto bene a questo popolo, alle persone a cui mi rivolgo tutte le sere. La cosa che mi fa soffrire di più nel dare le dimissioni non è tanto quella di non essere più in tivù, quanto quella di interrompere un legame di amicizia con gli ascoltatori, oltre a quello che ho coltivato qui a Comano, con i colleghi.
Non so se ci sia un segreto. Io entro nella condizione mentale del mettermi a disposizione, e mi metto in gioco. Questo è un lavoro per cui puoi dire delle cose che poi non si avvereranno, rimettendoci anche la faccia... (ride). Ho sempre accettato l’idea che qualcuno potesse non solo criticare, ma giudicare cadendo in quei luoghi comuni non particolarmente gratificanti. L’ho fatto perché il luogo comune è uno dei modi attraverso il quale le persone vogliono comunicare con te.
Spesso le persone ti riconoscono, vogliono comunicare con te ma non sanno come, e allora se ne escono con un “ma domani piove?”. Capisco che questo possa essere l’aggancio: lo accolgo volentieri.
Un po’ sì. Quello che ho insegnato ai colleghi è sempre stato quello di essere sé stessi, senza scimmiottare nessuno. I miei riferimenti sono Pippo Baudo, Corrado, Mike Bongiorno. Alla gente possono piacere o no, ma sono dei grandissimi professionisti. Da loro ho voluto prendere il modello di forma, stile, sobrietà. Questo mi piace per una tivù come la Rsi, che in quanto tivù di Stato deve essere formale.
Da ragazzino, quando ho iniziato all’Osservatorio astronomico di Campo dei Fiori. Sono stato allievo del professor Furia. Ero andato lì per cercar comete, mi ha dirottato sulla meteorologia...
Sì, scaduto. Troppo costoso!
Il nostro lavoro è quello di fare un programma televisivo. La cosa che ho inteso sottolineare sin da quando sono arrivato alla Rsi è stata quella di consolidare il rapporto con MeteoSvizzera, definendo compiutamente i ruoli. È stato molto interessante collaborare con loro, anche lì lascio degli amici. Mi piacerebbe che gli svizzeroitaliani si rendessero conto del patrimonio di aziende che hanno: realtà editoriali come i quotidiani, o quelle della Rsi, o di MeteoSvizzera. È importante vigilare su queste realtà ed è anche giusto fare delle critiche, purché con l’idea di migliorare ciò che si ha: è un attimo distruggere un patrimonio che oggi come oggi sarebbe difficile ricostruire.
La menzione era per il contenuto divulgativo e scientifico reso molto popolare, intuitivo. Capacità dunque di aver fatto sintesi tra due cose: esprimere contenuti risultando velocemente comprensibili.
È quello che ho sempre voluto dare. Ora passa di mano e non so quali saranno le nuove direttive. Sono fiducioso del fatto che potrà migliorare ancora.
C’è chi sostiene che è lunga e chi dice che è corta. In fin dei conti, sigle comprese, parliamo di tre minuti. Di programmi televisivi se ne vedono tanti ed è giusto che sia così. È nella logica delle cose: ci deve essere di tutto, si dà un tempo a questo tutto, e se ci sta è perché abbiamo la possibilità di farcelo stare. Per chi vuole più informazioni c’è il sito.
Il radar ti dice cosa è stato, il modello matematico ti dice cosa sarà. Quello che ti dice in più il meteorologo, e poi il presentatore Meteo che sulle informazioni del primo trova il linguaggio più appropriato per tradurre un gergo tecnico in qualcosa di più liquido, è ciò che ci differenzia da una mera serie di numeri e calcoli. Perché il meteorologo, conoscendo il territorio, ti può dire che in quel tipo di circostanze in realtà il modello matematico potrebbe riservare qualche inciampo, e perciò tu lo annunci. Se uno vuole continuare a seguire lo smartphone può farlo, ma constato anche come non solo gli anziani, ma anche i bambini, si appassionano al racconto del tempo e della natura. Di qualche cosa che tutti i giorni è diverso. Questa è la magia della meteorologia.
Sì, è uno dei programmi in assoluto più seguiti. Facciamo più del 50% di ‘share’, ai livelli di Telegiornale e Quotidiano. È un programma di punta della Rsi.
Sì, percepimmo un certo tipo di esigenza, frutto di preoccupazioni. Ma dal mio punto di vista è come prendersela con il termometro perché si ha la febbre...