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Processioni storiche: ‘Questa decisione è un'americanata’

La Curia prende la parola. C’è chi invoca il rispetto del Vangelo e della dignità umana, chi ritiene che bisogna porsi altre domande e chi è contrario

La discussione continua
(archivio Ti-Press)
17 febbraio 2024
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Le processioni di Mendrisio fanno discutere. Prima a Mendrisio, poi a Bellinzona e infine in tutto il distretto. Un tema che sicuramente si protrarrà fino al fatidico giovedì Santo. Uno dei giorni più importanti per la religione cristiana che viene messo in scena da ormai oltre 400 anni in una mescolanza tra religione, teatralità e arte. Queste ultime due sono quelle che sono valse per l’evento, organizzato dalla Fondazione processioni storiche di Mendrisio, il riconoscimento come patrimonio culturale immateriale dell’umanità.

Dopo diversi politici che si sono espressi sulla decisione di non pitturare, con una tinta di colore nero, il viso di alcuni rappresentanti della corte del tetrarca Erode Antipa, abbiamo dunque cercato il parere di alcune figure di spicco della cristianità locale.

Da una parte c’è la Curia vescovile che non considera opportuno prendere parola nel merito se non con una dichiarazione a laRegione di don Nicola Zanini, direttore dell’Ufficio liturgico della Diocesi di Lugano e già parroco per quasi una decina di anni proprio nel Mendrisiotto: «Riteniamo che queste questioni non debbano essere trattate dalla Curia» anche se sottolineano che per loro «è importante che tutto venga vissuto nel rispetto del Vangelo e nel rispetto della dignità delle persone, contro ogni forma di razzismo».

‘Finora solo discorsi falsi e ipocriti’

Dall’altra c’è un ecclesiastico che invece ha un parere delineato, l’arciprete di Chiasso don Gianfranco Feliciani. Secondo la sua opinione questa decisione non viene dalla Fondazione ma è stata imposta indirettamente: «È chiaro che non sono stati loro ad aver avuto questa idea. A me sembra di capire che ci sia dietro l’Unesco. Ovviamente chi ha i soldi comanda e dunque ci si è piegati a questa americanata. A Mendrisio a nessuno era mai venuto in mente di fare una roba del genere prima dell’ingresso dell’Unesco».

Una scelta definita talvolta come politicamente corretta, ma per Don Feliciani è solo un fatto di ipocrisia moderna: «Ci impongono questi cambiamenti della tradizione dicendo che ‘è giusto, la civiltà evolve, bisogna tutelare le diverse sensibilità’, ma io mi chiedo se prima di tutto la Fondazione abbia domandato ai nostri amici di colore cosa ne pensano di questo. A Chiasso io ho posto a loro questa domanda e si sono messi a ridere». Lo stesso abbiamo provato a fare anche noi contattando l’associazione ‘comunità africana del Ticino’. E anche il presidente Aharh Nangbayadé è scoppiato in una grassa risata, anche se non ha voluto prendere un’opinione ufficiale sulla questione, né a titolo personale né a nome dell’associazione. Tornando all’arciprete: «Tutto questo politicamente corretto non è altro che ipocrisia; la nostra epoca viaggia su due estremi e nei discorsi spesso è rimasta solo la volgarità e l’arroganza. Da una parte c’è chi si dimostra forte, spesso con toni aggressivi, e dall’altra c’è chi, pur di avere consensi, diventa un ipocrita con il politicamente corretto. Due comportamenti che sono entrambi menzogne e che sono stati cavalcati da quasi tutti, politici e non, per mettersi in mostra e apparire».

‘Piuttosto si cambi Ponzio Pilato’

Sulla questione storica della manifestazione anche il Vescovo emerito monsignor Pier Giacomo Grampa non ha intenzione di prendere posizione, ma si è espresso ponendo alcuni quesiti necessari: «Prima di esprimere un’opinione vorrei sapere quando hanno cominciato a dipingere con il carbone la faccia di alcuni personaggi. Non mi risulta che ai tempi della Passione di Gesù ci fossero personaggi di colore in Palestina, semmai arabeggianti dato che anche lì il sole brucia, ma non certamente neri come vengono dipinti. Bisogna prima di tutto chiedersi perché incominciarono a dipingerli così. Non credo che alle prime processioni fossero rappresentati in questo modo».

Non concorda invece l’arciprete: «Non bisogna dimenticare che in Palestina c’era l’impero romano che comprendeva anche l’Africa. In quel periodo lì c’erano anche gli egiziani e gli etiopi. Da non dimenticare anche che durante l’impero romano i mori erano ovunque come i santi martiri Vittore (conosciuto anche come San Vittore il moro, ndr), Nabore e Felice che inizialmente erano soldati romani». Don Feliciani conclude suggerendo di correggere un errore che si è tramandato, piuttosto che toccare i mori: «La rappresentazione di Ponzio Pilato vestito con abiti mediorientali non è esatta. Lui era un procuratore romano che faceva le veci dell’Imperatore ed è rimasto solo qualche anno a Gerusalemme. Se qualcosa va corretto, per rendere la processione più fedele alla Storia, deve essere questo, ma sicuramente non i mori».

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