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Visite in casa anziani: ‘Siamo disponibili a concedere deroghe’

Gli orari d'apertura della struttura di Chiasso non sono ancora quelli ‘pre-Covid’. Il direttore Maestrini spiega perché e parla della situazione attuale

Casa giardino
(archivio Ti-Press)

Una realtà che, per quanto la situazione sia molto migliorata, non è ancora tornata alla totale normalità dopo la pandemia da Covid-19. È quella delle case per anziani. In quella del Comune di Chiasso, composta da casa Giardino e casa Soave, è ancora in vigore un orario parzialmente ridotto per le visite. Situazione che avrebbe creato qualche malumore tra alcuni parenti degli ospiti. «Personalmente non ho mai ricevuto reclami particolari riguardo agli orari di visita, ma in ogni caso siamo ben disponibili a far entrare chi, per vari motivi, non può far visita ai propri cari durante gli orari d’apertura», ci dice Fabio Maestrini, direttore degli Istituti sociali del Comune di Chiasso.

Ancora in vigore un limite massimo di persone presenti nei vari locali

Prima della pandemia non c’erano dei veri e propri orari di visita, ma «per motivi di sicurezza la porta veniva aperta alle 8 e chiusa alle 18.30. Ora, invece, resta aperta dalle 10 alle 12.30 e dalle 13.30 alle 18. Questo per permettere «un minimo di controllo visivo da parte di chi lavora in ricezione». Il motivo? «Come struttura sanitaria dobbiamo sottostare alle indicazioni cantonali, nonché al piano di protezione appositamente elaborato che impone un limite massimo di persone presenti nei vari locali delle strutture. Inoltre vi è anche una questione legata alla sicurezza. In questo modo si evita che entri chi non ha nulla a che vedere con la casa anziani». In ogni caso c’è la massima disponibilità e flessibilità, ribadisce Maestrini: «Se qualcuno suona il citofono fuori orario rispondiamo sempre e non ci sono problemi a concedere delle deroghe. In altre strutture socio-sanitarie le restrizioni circa le visite sono indubbiamente più limitate». Inoltre, «anche nel reparto di cure palliative, a seconda della casistica, non vi sono orari. Anzi, per chi è autorizzato è possibile accedervi da una porta secondaria».

Il limite degli orari di visita era stato introdotto durante la pandemia anche perché andava registrata ogni persona che entrava nelle strutture. Una volta che non vi sarà più il limite di numero di presenze, si pensa di tornare al regime pre-Covid? «Tendenzialmente sì, ma bisognerà in ogni caso riflettere sulla questione sicurezza. Ribadisco che come già detto, al citofono rispondiamo sempre».

Mantenute altre misure

Oltre agli orari di visita, a essere rimaste dopo la pandemia vi sono anche altre misure. Una riguarda il parco: «Il nostro giardino è molto grande e prima non vi erano impedimenti di accesso. Vi era chi lo usava per esempio come semplice passaggio da via Franscini a via Soave, e non nascondo che in passato vi sono stati anche problemi di frequentazioni notturne ‘poco edificanti’». Con l’arrivo della pandemia è stata poi posta una recinzione, che è stata mantenuta. Inoltre l’entrata diretta per Casa Soave era stata chiusa e lo è tuttora: per entrare bisogna accedere da Casa Giardino. «Il problema è che le nostre strutture hanno molteplici punti d’accesso. Per tenere sott’occhio i numeri e avere un minimo di controllo di chi entra e chi esce, abbiamo dunque deciso di mantenere accessibile solo l’entrata principale».

Parlando di restrizioni comportamentali, valgono le indicazioni cantonali (l’ultima circolare dell’Ufficio del medico cantonale risale a maggio) e le direttive dell’associazione di categoria Adicasi (Associazione dei direttori delle case per anziani della Svizzera italiana). Dunque, tra le altre raccomandazioni, è necessario indossare la mascherina in caso di sintomi riconducibili al Covid. Anche se, ricorda Maestrini, «sta comunque al buon senso delle persone non entrare in contatto con quella che è una popolazione fragile. Questo anche quando si presentano sintomi riconducibili a una malattia che si potrebbe trasmettere ai residenti».

‘La pandemia ha ancora degli effetti evidenti sulla società’

Questioni pratiche a parte, come si sta vivendo il periodo post pandemia all’interno della casa anziani? «Dimenticarsi del Covid credo sia molto difficile. È stato un evento che ha cambiato il mondo e che ha segnato tutti noi. Ha ancora degli evidenti effetti sulla società e in alcuni casi quest’onda lunga sfocia in comportamenti che si sono modificati nelle persone. Sembra un periodo così lontano nel tempo, ma in realtà sono trascorsi soli tre anni dall’inizio della pandemia. Sembra ieri, giovedì 5 marzo 2020, quando siamo stati la prima casa anziani toccata dal fenomeno – rammenta Maestrini –. Il virus è ancora presente, non siamo tornati alla normalità, ma chiaramente gli si dà un peso diverso. Anche se… bisogna vedere cosa succederà in autunno». Al riguardo il direttore parla di vaccinazione: «Ultimamente se ne parla in misura nettamente ridotta, ma è importante per proteggere chi è più fragile». Questo riguarda anche altri vaccini come quello ‘classico’ influenzale: «Purtroppo non riscuotono grande successo in chi lavora in questo mondo».

‘C’è stato un certo burnout professionale’

Proprio riguardo al futuro c’è dunque ancora inquietudine da parte: «C’è ancora il timore che si torni a periodi più infausti dal punto di vista delle condizioni di lavoro. Come il fatto di dover indossare perennemente la mascherina, registrare ogni persona che entra ed esce e via dicendo – indica il direttore –. In ogni caso siamo sempre pronti, nel senso che abbiamo imparato a gestire queste situazioni». Lo sforzo emotivo e fisico è però stato tanto e la pandemia pesa ancora sulle spalle del personale sociosanitario: «Il carico di quel periodo lo si sente ancora adesso. Indubbiamente vi è stato un certo burnout professionale. Questo in un settore dove vi è già molto abbandono della professione». E dunque come si contrasta questa stanchezza, questa fatica? «La situazione è complessa. In quanto la pandemia si è innestata in un contesto economico difficile, dove le risorse che ci vengono messe a disposizione sono sempre più scarse e la casistica sempre più complessa. Quindi rispondere ai bisogni della popolazione è sempre più impegnativo – premette Maestrini –. Per venire a capo di questa situazione cerchiamo di lavorare sulla formazione, sulla motivazione, sul mettere a disposizione un sostegno interno. Quest’ultimo sia per il personale sia per i residenti e anche per i loro familiari. Ci stiamo muovendo anche a livello di associazione di categoria. Bisogna sostenere chi lavora in questo settore, che sta ancora pagando le conseguenze di un periodo molto impegnativo».

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