Mendrisiotto

Ai ragazzi non piacciono canotte a rete e jeans a vita bassa

Un gruppo di docenti della Spai di Mendrisio ha indagato il tema dell'abbigliamento degli studenti a scuola. Risultato: un Vademecum e risposte inattese

Il mondo della scuola dibatte (Ti-Press)
3 ottobre 2020
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L’abito non farà il monaco, ma può dire molto dell’amore che si ha per la scuola. Prima ancora che a Ginevra o nei Paesi a noi vicini - in Italia e in Francia - si infiammasse la polemica su minigonne, scollature e sguardi indiscreti, a Mendrisio, al Centro professionale Tecnico (la Spai) si è preferito dare spazio alla discussione. Sotto i riflettori sono finiti l’abbigliamento degli studenti e le direttive in vigore. Un confronto fecondo quanto vivace, quello aperto il dicembre scorso nel corpo insegnante, che ha convinto di una necessità: serve un codice condiviso. Esigenza che ha dato forma a una sorta di Vademecum da dibattere dentro l’Istituto e a livello cantonale. La richiesta? “Integrarlo nel regolamento della scuola”. Gli otto punti allineati? Niente berretti, niente canotte trasparenti e con scritte offensive, niente pantaloncini e gonne corte, niente jeans (troppo) strappati, niente calzoni a vita bassa (e quindi biancheria intima a vista), niente infradito e niente tute.

Il punto? Essere consoni

La parola chiave da cui si è partiti? ’Consono’. Sì, perché in classe ci si deve andare vestiti in modo consono. A questo punto, però, andavano coinvolti pure gli allievi dell’Istituto, in larghissima parte, va detto, ragazzi (le ragazze sono meno di una manciata). Il risultato? Due sondaggi (per immagini) - rimbalzati anche su Tio - e una analisi arguta del problema raccolti in un ’Quaderno di ricerca’ intitolato, non a caso, ’Abbigliamento (non) consono a scuola - sottotitolo ’(Ri)scoprire il vestito’ - e firmato da quattro docenti, Sheila Pongan, Duilio Enne, Pino Vaccaro e Roberto Caruso, con la presentazione di Francesca Rigotti. Il lavoro sarà illustrato al plenum dei professori il dicembre prossimo e sarà discusso con il Dipartimento educazione, cultura e sport, dal quale si attende una presa di posizione. Anche perché il gruppo di lavoro non si è limitato a esplorare i sentimenti, i gusti e le percezioni degli alunni - impegnati nei loro percorsi formativi nei campi dell’elettricità e dell’edilizia -, ma ha, altresì, messo sul tavolo una serie di proposte "motivate" proprio sul codice di abbigliamento da tenere oltre la soglia della sede scolastica. Suggerimenti, riconoscono gli stessi autori dello studio, che andranno fatte ’digerire “dai nostri studenti adolescenti e forse pure da qualche collega”.

Scattata una fotografia

Del resto, l’obiettivo della ricerca, da subito, è stato quello di restituire “una sorta di fotografia della situazione attuale e magari pure delle indicazioni verso possibili soluzioni”. Un intendimento alimentato dalle risposte ai questionari - in totale oltre 23mila - e dalle osservazioni raccolte; dati che hanno fatto emergere la capacità dei giovani alunni di sapersi dare dei limiti nella scelta degli abiti da indossare a scuola - nonostante la voglia di libertà -, dimostrandosi aperti alle altre culture, e al contempo di possedere la consapevolezza di saper leggere fra le pieghe di mode e tendenze una volta fuori dall’aula. Attitudini forse inaspettate che dovrebbero facilitare il compito degli insegnanti. Tanto più che, come scrivono gli autori del lavoro, "l’idea di fondo è quella di trovare delle motivazioni coerenti, valide e condivise per poi cercare di trasmetterle agli studenti in modo da ’guidarli’ verso l’uso di un abbigliamento consono alla dignità della scuola”.

Le fogge punk non piacciono ai ragazzi

A ben vedere (e stando al responso del sondaggio principale) i ragazzi risultano essere, a tratti, persino più ’bacchettoni’ - o conformisti - dei loro docenti. Insomma, non parlategli di capelli a cresta o vestiti declinati in stile punk-rock: pollice verso assicurato (a differenza dei professori, più tolleranti). Tutt’al più vi lasciano passare i pantaloni a cavallo basso. Cassati pure su tutta la linea (qui pure dagli insegnanti) i calzoni a vita bassa: non fanno per gli studenti della Spai di Mendrisio, che li hanno bocciati a larga maggioranza e con percentuali simili a quelle scaturite dai questionari dei docenti. In effetti, fra ’sì’ e ’no’ chi siede tra i banchi e chi alla cattedra si trova spesso allineato sugli abiti accettabili e quelli meno. Gli uni e gli altri sono, ad esempio, in sintonia (del tutto o quasi) se si parla di pantaloncini corti (sì, ma non oltre il ginocchio), o ancora di jeans strappati (ma fino a un certo punto per i maestri) e di canotte (per carità vade retro alle maglie a rete) o di abbigliamento sportivo. Addirittura i ragazzi mettono al bando i sandali oltre alle infradito, prediligendo unicamente gli scarponcini. Il salto generazionale viene a galla quando si affronta il tema delle magliette... scritte. Qui la prospettiva si rovescia: gli allievi sono pronti a sdoganarle senza censura (per oltre la metà di chi ha dato seguito al questionario); i professori non accettano, per contro, quelle portatrici di epiteti e messaggi volgari.

Tra comodità e moda

Illuminante sulle opinioni dei ragazzi della Scuola è anche il secondo sondaggio, orientato ad allargare lo sguardo alla vita di tutti i giorni. Qui a consegnare il questionario sono stati in 259, il 35 per cento del totale degli allievi (contro il 50 per cento della prima fase). Cosa ne è uscito? Che gli alunni della Spai di Mendrisio sarebbero pronti anche ad andare dal sarto per farsi confezionare un abito su misura qualora dovessero partecipare a un cerimonia (come il matrimonio di un conoscente) o recarsi a un colloquio di lavoro, ma se devono scegliere optano per un abbigliamento comodo. In ogni caso, i più credono che in genere le persone scelgano un abito per farsi vedere ed essere apprezzati.

Certo il dibattito resta aperto. Per dirla con uno degli alunni, alla fine “basta un po’ di testa”.

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