Luganese

Per la truffa dei vini chieste (anche) assoluzioni

Il principale imputato ammette, e rischia il ritorno in carcere. Venerdì la sentenza

Cose da intenditori
(Archivio Ti-Press)
21 giugno 2023
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Sarà emessa venerdì mattina la sentenza nel processo per la truffa dei vini, bottiglie vendute come se fossero di alta gamma, con tanto di confezioni ed etichette contraffatte, mentre la bevanda era di origine molto meno nobile. Cinque gli imputati alla sbarra e, nel giorno processuale dedicato alle difese, per tre di essi è stato invocato il proscioglimento. Per il principale imputato, un ex commerciante di vini luganese, è stata chiesta una riduzione della pena che gli possa evitare il ritorno in carcere, lui che ha già scontato ben 6 mesi di cella.

Una vicenda per certi versi sconcertante, viste le dimensioni internazionali e che nel solo mercato svizzero ha causato danni per un milione e mezzo di franchi circa. Il vino, confezionato nella zona di Asti, non era ovviamente del tipo descritto nelle confezioni, vale a dire di nobile vitigno come il Tignatello 2012 della Antinori o determinate varietà di Valpolicella, o ancora il Sito Moresco 2015. Ma prima che qualcuno se ne accorgesse passò oltre un anno, fra il 2016 e il 2017. Quando finalmente alcuni clienti si lamentarono con l'importatore in Svizzera, per la qualità dubbia del prodotto, partirono indagini che poi si svilupparono in Italia, dove era prodotto il vino in questione, mentre nel Luganese finiva nei guai (e tre persone in galera) chi in qualche modo risultava coinvolto nell'importazione e nella distribuzione.

A capo di questo sistema, per quanto ricostruito dalle indagini, vi era un professionista del ramo, o meglio un ex professionista visto che il 69enne residente nel Luganese, ben conosciuto in questo campo, e spinto al crimine da difficoltà economiche dopo l'arresto e la detenzione ha abbandonato cantine e vitigni. Quattro anni di detenzione la richiesta di pena: una prospettiva preoccupante per lui, dice il suo legale Sandra Xavier. «Oltre alla carcerazione, ben 190 giorni, ha sofferto il giudizio della gente, faticava a uscire di casa» ha esposto l'avvocato, parlando di «ansia, angoscia e una forte somatizzazione» che hanno portato a importanti problemi di salute. Problemi che si protraggono fino a oggi, tanto che l'uomo non si è presentato in aula sulla scorta di un certificato medico. Le sue ammissioni, per quanto tardive, dovrebbero pesare nel computo della pena. Invece, sostiene Sandra Xavier, l’accusa (la procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti) non ne ha tenuto conto nella richiesta di pena. Da qui la richiesta a una pena massima di 3 anni, sospesa nella misura di 30 mesi, così da evitare una nuova reclusione.

Chi sapeva e chi no?

Si chiama invece per la gran parte fuori il 64enne luganese amministratore di una società coinvolta. «Non si intendeva di vini, serviva una persona che conoscesse il tedesco e sapesse amministrare la società» ha sostenuto il suo legale Benedetta Nori. «Ignorava il fatto che il vino Tignatello fosse contraffatto». Questo almeno fino all'interrogatorio di inizio 2015. Ergo, per lui si chiede l'assoluzione o quantomeno una massiccia riduzione della pena. Per il 55enne italiano domiciliato nel Luganese, reo confesso, in discussione c’è invece la sua importanza all'interno dell'organizzazione, e quindi l’entità della pena. Coinvolto da altri due imputati nel traffico, tramite le sue conoscenze a Napoli per la preparazione del packaging del vino Sito Moresco, insomma, etichette e cartoni farlocchi. Era stato attratto nell'affare, lui pure, dal bisogno di un prestito di 150mila franchi per conservare la proprietà di un immobile. Da tutto ciò non ha guadagnato nulla, se non un prestito parziale poi completamente restituito. «Un ruolo marginale, sussidiario, che non può comportare una pena massicciamente inferiore rispetto a quanto richiesto, per un massimo di 18 mesi, giocoforza sospesi con la condizionale» ha chiesto l’avvocato Oliver Ferrari. C’è pure in ballo la richiesta di espulsione dal territorio svizzero: qui l'avvocato Ferrari ricorda i danni che la misura comporterebbe anche a livello familiare.

Il figlio del 55enne, un 29enne, pure residente nel Luganese, sostiene di essersi tirato fuori dall'affare non appena capito che si trattava di operazioni illecite. Anzi, non ha portato alcun ruolo di aiuto a questa attività, sostiene il suo difensore, l'avvocato Mattia Bordignon. Infine un 69enne, già giudicato e prosciolto in Italia (ma per il reato di ‘contraffazione’): l'avvocato Pierluigi Pasi chiede il suo proscioglimento per l'assenza di prove, se non la chiamata in correità fatta da altri imputati per, dice, costruirsi una situazione processuale migliore. Ora la parola passa alla Corte delle Assise criminali, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta.

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