Locarnese

Gianna Fratta, ‘La Carità’ come orchestra sinfonica

Un grande nome della musica classica all'Ospedale di Locarno sul ruolo del leader. Le imprevedibili affinità tra professioni in una lectio a metà tra arte e strategie aziendali

Gianna Fratta
6 aprile 2019
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E così, la sala Gianfranco Domenighetti si trasforma in sala prove. A condurre l’incontro con i quadri dell’Ospedale La Carità di Locarno è Gianna Fratta, direttrice d’orchestra, pianista internazionalmente riconosciuta, prima donna a dirigere i Berliner Symphoniker. Organizzato da Angela Greco (Responsabile qualità dell’Ospedale) l’evento è, per voce della stessa, «un ringraziamento ai quadri ospedalieri e un’occasione per celebrare l’impegno e la dedizione che mettono nel quotidiano». Un evento diventato una consuetudine annuale, aperto dal direttore Luca Merlini che riepiloga le professionalità qui transitate in nome delle «similitudini e delle diversità di cui fare tesoro e traslare in ambito ospedaliero».

‘Tanti auguri a te’

Quando, tempo fa, la Roche la chiamò per chiederle di parlare al Museo della Scienza di Milano, Gianna Fratta pensò a un caso di omonimia. E invece cercavano proprio lei, per capire l’affinità tra tempi, spazi e modalità di lavoro di un direttore d’orchestra con un più generico leader di altro settore. Da quel primo incontro, molti ne sono seguiti, davanti alle più disparate realtà aziendali. Agenzia delle Entrate inclusa. «Il mio è un ruolo evanescente – esordisce, anticipata da un estratto di una sua direzione della Sinfonia n.7 di Beethoven – che quasi nessuno sa esattamente cosa significhi. Durante i miei incontri sono stata identificata in molti modi, compreso “quello che fa i gesti nell’aria perché è bello da vedere”». Gesti, in realtà, frutto di ore di esercizio affinché il messaggio sia «chiaro, inequivocabile», diretto com’è a un gran numero di strumentisti, pena il fallimento dell’esecuzione. La dimostrazione? Il ‘Tanti auguri’ fatto cantare alla sala, che senza guida è (con tutto il rispetto per i presenti) soporifero, mentre da lei diretto, in tre rapidi tentativi, diventa un’esecuzione rispettosa di pause e durate e già con alcune sfumature, trasformando «un gruppo di persone in una squadra».

Studio, più che carattere

Il direttore d’orchestra (o d’azienda), deve avere competenze. «Si crede che essere leader venga da sé», afferma Fratta. «Sì, il carattere può avere un ruolo, ma non senza lo studio». Competenze ancor più necessarie in un lavoro che nell’immaginario collettivo è visto come maschile. In verità, di fronte alla preparazione, la relatrice non vede ostacoli nell’essere donna: «Nemmeno credo nelle quote rosa, credo soltanto nel merito». Le competenze organizzative del direttore d’orchestra, in particolare, sono oggetto di studio per altri gruppi di lavoro, visti i tempi fissati dell’esibizione e considerato il fatto che le sale prova sono «luoghi con la maggior concentrazione di persone nel minore spazio possibile».

Dal primo violino al triangolo

E poi ci sono le competenze umane: «Il leader ha capacità di empatia, che non deve diventare amicizia». La sintesi è «un giusto compromesso tra distanza e umanità», e nel rigoroso rispetto dei ruoli. Scopo finale, «suscitare un senso di appartenenza, più difficile che far suonare le note giuste al momento giusto». Senso che va stimolato tanto nel primo violino quanto (anzi, ancor più, parlando di ruoli primari e secondari) nel triangolo.

Gustoso il finale. Quando qualcuno le chiede la durata delle sue collaborazioni con le orchestre, Fratta benedice i lunghi intervalli tra un’opera e l’altra. Ma c’è un segreto per vivere la lunga quotidianità di un ospedale: «Chi non lo è, finga di essere precario e chi è precario, pensi che quella settimana è l’ultima della sua vita. Più i rapporti sono lunghi, in effetti, più si deteriorano. E meno male che il mio fidanzato è già uscito da questa sala...».

‘Ore di studio, concentrazione e una dedizione quotidiana esasperata’ (l'intervista)

“Il mio fidanzato” ha un volto e soprattutto una voce: quella dei Litfiba. Non è un mistero che Gianna Fratta e Piero Pelù facciano coppia fissa. Il rocker si siede ai margini della sala, sorride sull’illuminante ‘Tanti auguri’, defilandosi prima della fine. Non per questo la compagna è ora diventata rockettara; di certo, ha l’apertura mentale dei grandissimi: «Per come la vedo io – racconta alla ‘Regione’ – la musica si divide in musica buona e cattiva, nel senso di scritta bene e scritta male. La classificazione in rock, pop, etnica o altro su di me ha poca influenza. Sono interessata alla musica buona e nel jazz, per esempio, ce n’è di un livello strepitoso, addirittura superiore a certa musica classica. Così come ci sono alcune canzoni rock che a mio parere sono più belle di tante arie d’opera scritte in modo scadente».

Chiediamo del ‘movimento’ giovanile, di quanto interesse esista ancora nello studio dello strumento in epoca tecnologica. E dall’alto delle sue due lauree, non musicali (di cui una in giurisprudenza), la direttrice d’orchestra risponde così: «I giovani che studiano ci sono, ma si tratta chiaramente di un discorso complicato. La musica è estremamente più complessa di altre tipologie di studio, richiede una dedizione quotidiana esasperata. I giovani che lo fanno sono persone speciali, sanno di andare incontro a un futuro di studio giornaliero, ma anche a un mondo di nicchia, di orchestre non numerosissime e che spesso chiudono, di budget pubblici e privati che in ambito di musica colta si assottigliano sempre di più, a favore di necessità considerate più impellenti. Non è semplice, ma in molti vi si dedicano con successo».

È a est che in questo momento s’investe in musica classica, secondo Fratta, e così pure in Giappone, Cina, Corea, «dove lo sforzo è degno di nota e di lode. Nel secolo scorso, gli Stati Uniti hanno investito in modo imponente. Noi europei, invece, viviamo un po’ di rendita per il grande patrimonio del passato». E se i coach del tennis lamentano la mancanza di fuoriclasse per via dei telefonini, «non è il caso della musica classica», conclude Fratta: «Noi allo strumento dedichiamo ore e concentrazione, senza le quali non potresti mai fare questo mestiere».

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