Bellinzonese

Omicidio di Monte Carasso: l'impulso a confessare

Intervista a uno psichiatra forense sui possibili motivi che hanno portato il 48enne accusato di assassinio a costituirsi due anni dopo

20 luglio 2018
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Ci sono terribili omicidi che rimangono irrisolti. In molti casi il criminale riesce a convivere in silenzio con la propria coscienza. In altri casi no. Perché? Ne abbiamo parlato nel suo studio a Lugano con il dottor Carlo Calanchini, specialista in psichiatria forense. «Dimenticare mai. L’omicida non dimentica il suo crimine, tranne chi agisce sotto stato di demenza – spiega lo psichiatra –. La reazione di una persona ‘sana’ (dal punto di vista psicofisico) può essere l’indifferenza, l’assenza di sensi di colpa. Può uccidere e in qualche modo legittimarsi. Per legittimare un delitto di questo tipo bisogna però avere una struttura della personalità particolare, predisposta a relativizzare un atto del genere».

Cosa porta un uomo, come in questo caso il 48enne del Locarnese, due anni dopo aver ucciso l’ex moglie, a confessare il suo crimine?

Partiamo dall’ipotesi che lui sia stato preso dai sensi di colpa e l’abbia fatto per liberarsi dal tormento interiore. Possiamo però anche ipotizzare che lui l’abbia fatto per sfuggire a un male peggiore; “qualcuno mi sta ricattando, qualcuno sa ciò che ho fatto e sta minacciando di denunciarmi. Allora meglio fare una ‘fuga in avanti’ e confessarmi”. In quest’ipotesi molto cinica, pragmatica, l’omicida non ha nessun senso di colpa ma cerca di limitare i danni. Se denunciato prende l’ergastolo, dichiarandosi colpevole qualcosa in meno. Preferiamo sicuramente la pista “morale”, un rimorso di coscienza che a un certo punto lo porta a costituirsi. Ma i moventi che portano alla confessione possono essere diversi. Sarà poi l’inchiesta a stabilirlo.

Restiamo sull’ipotesi ‘morale’. Prima il parroco, poi la polizia...

La confessione col parroco fa pensare al pentimento, al timore delle conseguenze non tanto davanti alla giustizia ordinaria, ma soprattutto di fronte a Dio. Poi c’è il ruolo del sacerdote; probabile che abbia spinto il criminale a costituirsi, per esempio negandogli l’assoluzione. Tutto plausibile. Un ritrovo della coscienza, addirittura della fede. Tendiamo a darlo per scontato: nell’omicida riemerge il senso del peccato, confessa il suo crimine in chiesa, poi alle autorità, il delitto viene punito. Un ordine di fattori rassicurante per l’opinione pubblica.

Casi irrisolti, omicidi che non vengono alla luce... Esiste il delitto perfetto?

Penso di sì, penso che ci siano persone capaci di agire con tale freddezza e razionalità da non lasciare tracce. Affermare però che esiste il delitto perfetto sarebbe incorrere in una sorta di contraddizione: il delitto perfetto rimane tale finché noi restiamo ignari di quanto veramente accaduto.

Tra delitto e castigo

«Come parroco non posso mai divulgare ciò che sono venuto a sapere durante la confessione, in nessun caso ­ – conferma una fonte sacerdotale che chiede di rimanere anonima –. Solo se il penitente stesso mi libera dal vincolo del segreto confessionale, allora posso testimoniare». Non è nemmeno possibile confermare se ci sia stata o meno la confessione del crimine. «La persona ci rivela un segreto della sua anima, siamo tenuti a mantenerlo riservato. Altrimenti incappiamo nel peccato che si chiama di ‘Latae sententiae’, di cui possiamo essere assolti soltanto dal Vaticano». Come procedete se viene confessato un reato? «Possiamo cercare di dare una ‘giusta pena’, per esempio chiedere al penitente di aiutare una persona bisognosa per tutta la sua vita, in modo da rimediare al grave peccato commesso. Possiamo consigliare al peccatore di andare a costituirsi, ma la decisione è sempre della persona. Di solito quello che facciamo in questi casi è non dare l’assoluzione, oppure dire: “Sarai assolto soltanto dopo che avrai raccontato la verità”. Non c’è una prassi prestabilita». Il segreto confessionale o ‘sigillo sacramentale’ è regolato dal diritto canonico e non prevede eccezioni. La questione della compatibilità tra diritto canonico e diritto penale era già stata sollevata circa 15 anni fa da un’iniziativa parlamentare dell’allora deputato socialista Sergio Savoia, che chiedeva di limitare il segreto professionale degli ecclesiastici nei casi di reati gravi. L’iniziativa fu respinta dal Gran Consiglio. 

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