Svizzera

Per Gen Z e Millenial la vita privata conta più dell’impiego

La maggioranza degli svizzeri nelle fasce 18-24 e 25-26 anni accetterebbe anche un salario inferiore per svolgere un lavoro percepito utile per la società

(Keystone)
3 agosto 2022
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Per le giovani generazioni la vita privata ha la preminenza sull’impiego, il senso di un lavoro è più importante del salario, un ambiente inclusivo è requisito fondamentale e la perdita dell’occupazione non fa paura: sono queste le quattro indicazioni principali che emergono da un sondaggio pubblicato oggi dalla società di consulenza Randstad.

Stando al rilevamento demoscopico – condotto a livello internazionale, con almeno 800 interpellati per nazione – il 36% degli svizzeri appartenenti alla generazione Z (18-24enni) e a quella dei Millenial (25-36enni) hanno già lasciato un lavoro perché non era compatibile con la propria vita privata. Il 67% dice di essere pronto a rescindere il contratto di impiego se questo impedisce di godersi la vita. "Non più vivere per lavorare, ma lavorare per vivere", riassumono i sondaggisti.

Per i giovani è inoltre importante svolgere attività significative ed essere certi che i valori del datore di lavoro corrispondano ai loro: molti (29%) sarebbero ugualmente soddisfatti di una retribuzione inferiore se sentissero di fare qualcosa per il mondo o la società con la loro attività.

Nella scelta di un datore di lavoro i valori sociali e ambientali, così come un ambiente diversificato e inclusivo, giocano un ruolo fondamentale. Quasi la metà (44%) dei giovani sotto i 24 anni non lavorerebbe per un’azienda che non promuove in modo attivo la diversità e l’uguaglianza. Se i valori personali sulle questioni sociali e ambientali non possono essere conciliati con quelli dell’azienda, il 43% dei Gen Z e il 39% dei Millennial rifiuterebbero il lavoro.

Ai giovani non manca inoltre la fiducia: più della metà (57%) degli intervistati di età inferiore ai 24 anni si sente sicura di poter trovare rapidamente un nuovo impiego se dovesse perderlo. Tra i Millennial la percentuale sale al 62%.

Secondo Susanne Beer, direttrice delle risorse umane presso la filiale elvetica di Randstad, lo spostamento delle priorità nelle giovani generazioni non è segno di una mancanza di volontà di lavorare o di lealtà nei confronti delle aziende. A suo avviso i dati mostrano che le forze si stanno rimescolando nel mercato del lavoro e che i dipendenti attribuiscono un valore maggiore alla loro vita personale. "Le aziende possono e devono rispondere a questa esigenza", conclude l’esperta, citata in un comunicato.

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