Svizzera

'Bisogna cambiare marcia'

25 anni fa il 'sì' di popolo e cantoni all’articolo costituzionale sulla protezione delle Alpi. Un bilancio con Jon Pult, presidente dell'Iniziativa.

(Keystone)
18 febbraio 2019
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Jon Pult è presidente dell’Iniziativa delle Alpi dal 2014. Il 20 febbraio 1994, quando popolo e cantoni approvarono l’articolo costituzionale sulla protezione delle Alpi, non aveva ancora compiuto dieci anni. Oggi, che di anni ne ha 34, l’ex granconsigliere grigionese – già presidente del Ps retico e in ottobre candidato al Consiglio nazionale e al Consiglio degli Stati – non conserva un ricordo particolare di quel giorno. Ma ricorda bene – come un momento fondatore della sua esperienza politica – quell’‘Arena’ del 4 febbraio 1994 in cui, a detta di molti, il consigliere federale Adolf Ogi si giocò la votazione. «Voi urani non dovreste dire proprio niente. Voi, ai quali noi paghiamo già tutto», sbottò in diretta tv un nervoso ministro dei trasporti rivolgendosi al landamano urano Hansruedi Stadler. «Quella leggendaria ‘Arena’, dove il povero Ogi è stato distrutto da Stadler e Hämmerle [Andrea, ex consigliere nazionale grigionese, ndr], è il mio primo ricordo ‘politico’ in assoluto», racconta Pult alla ‘Regione’. «I miei genitori la guardavano, io l’ho guardata un po’ con loro. Per la prima volta ero affascinato dalla politica. E quando Fabio Pedrina [presidente dell’Iniziativa delle Alpi dal 2001 al 2014, ndr] mi ha chiesto di diventare presidente dell’associazione, quel ricordo forte è stata la motivazione emotiva che mi ha spinto ad accettare». Sono passati 25 anni.

Figure storiche dell’Iniziativa delle Alpi – come Hämmerle, Andreas Weissen, Alf Arnold, lo stesso Pedrina – si sono ritirate. Il ricambio generazionale è riuscito?

È in corso. Stiamo lavorando molto per ringiovanire le file dei militanti, anzitutto, ma anche il comitato e il Consiglio delle Alpi [l’organo consultivo, ndr], per il quale siamo riusciti a mobilitare tanti giovani. Oggi abbiamo un buon equilibrio tra le generazioni. Non solo: c’è anche un buon equilibrio regionale, linguistico e tra uomini e donne.

L’iniziativa venne lanciata contro tutto e tutti, dovendo superare perfino le reticenze iniziali delle associazioni ambientaliste e della sinistra. Poi i suoi promotori, giocando abilmente con i simboli e i miti elvetici, facendo leva sull’amore degli svizzeri per le Alpi, l’hanno resa accettabile alla maggioranza. Cos’ha di peculiare quest’iniziativa rispetto ad altre?

L’Iniziativa delle Alpi è stata una iniziativa popolare nel vero senso della parola, così come la intende la Costituzione: un’idea che origina dalle cittadine e dai cittadini, al di là dei partiti, delle grandi organizzazioni, della politica strutturata. Un’idea che nasce da un bisogno: le persone lo avvertono, vogliono cambiare le cose e lo fanno. E quest’idea venuta dal basso ha cambiato fondamentalmente la politica dei trasporti in Svizzera.

Dopo l’articolo costituzionale sono arrivati appunto AlpTransit, la legge sul trasferimento, la tassa sul traffico pesante, l’accordo sui trasporti terrestri con l’Ue... L’obiettivo dei 650mila camion in transito all’anno entro il 2018 non è stato raggiunto, d’accordo. Ma la tendenza è chiara: ancora qualche anno di pazienza e ci saremo.

No, non ci siamo. Nemmeno nel 2018: con 900-950mila camion [si tratta di una stima: i dati non sono ancora disponibili, ndr], ne avremo ancora almeno 300mila di troppo. Ma la diminuzione, anche se troppo lenta, ormai è costante. Grazie proprio all’Iniziativa delle Alpi, che ha segnato l’inizio di un nuovo paradigma nella politica dei trasporti. In Svizzera oggi la ripartizione modale del trasporto di merci è 70% ferrovia e 30% gomma; in altri Paesi alpini, come l’Austria e l’Italia, queste percentuali sono invertite.

In autunno l’Ufficio federale dei trasporti farà il punto della politica di trasferimento. Cosa vi aspettate?

Dobbiamo raggiungere – anche se magari con qualche anno di ritardo – l’obiettivo stabilito dalla legge, obiettivo che deriva dall’articolo costituzionale. Noi ci aspettiamo da parte del Consiglio federale l’espressione di una chiara volontà politica in questo senso. Non deve più succedere quello che è successo negli ultimi anni. Cioè? La politica di trasferimento è stata l’ultima delle priorità di Doris Leuthard durante i sette anni in cui è stata ministra dei trasporti. Non c’era nessuna dinamica, nessuna ambizione di fare progressi. Nonostante questo progressi sono stati fatti, anche se troppo lentamente. Adesso, con [la socialista, ndr] Simonetta Sommaruga, speriamo in un cambiamento di marcia e in misure concrete.

Quali misure?

La misura più ‘facile’, realizzabile subito, è alzare la tassa sul traffico pesante fino al massimo consentito. Poi bisogna rafforzare i controlli sui camion, togliendo finalmente dalle strade quelli che non rispettano gli standard: anche così si potrebbe aumentare la concorrenzialità della ferrovia. Poi, a medio-lungo termine, dovremo integrare la problematica delle emissioni di CO2 nella tassa sul traffico pesante. La Ttpcp viene calcolata [oltre che in funzione dei chilometri percorsi e del peso del veicolo, ndr] esclusivamente in funzione delle emissioni di polveri fini. Ma i camion oggi sono molto più ‘puliti’ da questo punto vista, per cui tra 5-10 anni la tassa avrà perso molta della sua efficacia. Invece, sotto il profilo delle emissioni di CO2, i camion sono rimasti in pratica ai livelli degli anni 90. In futuro la ‘tassa’ dovrà contenere anche questo elemento delle emissioni di CO2, ora assente. L’arco alpino patisce il cambiamento climatico e anche il traffico pesante su gomma deve dare il suo contributo. Bisognerà a questo proposito fissare degli obiettivi specifici pure nella futura legge sul CO2 [attualmente in discussione in Parlamento, ndr]. Assieme, tutte queste misure daranno un’altra spinta al trasferimento del traffico di transito dalla strada alla rotaia.

La galleria di base del Gottardo è in servizio dalla fine del 2016. Nel 2020 aprirà anche la galleria di base del Ceneri e sarà pronto il ‘corridoio di 4 metri’ lungo l’asse del Gottardo. Poi però di AlpTransit a sud di Lugano non si parlerà per un bel po’; e al momento non sembra che Italia e Germania siano propense a costruire tanto in fretta le rampe d’accesso ad AlpTransit. La politica di trasferimento non va incontro a una fase di stallo nei prossimi anni?

Per ora non vedo questo rischio. Le difficoltà oggettive esistono, soprattutto in Germania: l’intenzione del governo tedesco di costruire la rampa d’accesso solo verso il 2040 ci preoccupa. Finora però i dati dimostrano che il trasferimento del traffico pesante è effettivo e migliora anno dopo anno. Anche il tunnel di base del Gottardo vi sta contribuendo, benché un bilancio non sia ancora stato fatto. E questi progressi sono avvenuti nonostante la passività della politica.

L’Iniziativa delle Alpi si è battuta contro la costruzione di un secondo tubo alla galleria autostradale del San Gottardo. L’iter di progettazione dell’opera è stato avviato. Quali sono oggi i vostri principali timori?

Il verdetto popolare va rispettato, non si discute. Bisogna però ricordare che è stato preceduto da una chiarissima promessa del Consiglio federale: questa seconda galleria al Gottardo non aumenterà la capacità della strada. Noi daremo battaglia affinché questa promessa venga mantenuta.

Quindi aspettate che l’opera sia terminata?

No. Già adesso, nella fase di progettazione, abbiamo inoltrato dei ricorsi per fare in modo che la promessa sia iscritta anche nei progetti ufficiali. Vogliamo che l’opera stessa precluda la possibilità di aumentare la capacità, di andare oltre i mille veicoli al massimo che ogni ora possono transitare nel tunnel. L’impressione è che le cose procedano bene. Ma il nostro compito è di essere gli avvocati della promessa politica di Doris Leuthard: ci batteremo fino alla fine col coltello fra i denti per farla rispettare.

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