Svizzera

Parità salariale alla resa dei conti

Lunedì al Nazionale si deciderà la sorte del progetto che mira a far emergere le disparità retributive tra uomo e donna

21 settembre 2018
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Il Consiglio di Stato vodese vuole un’uguaglianza salariale totale nell’amministrazione cantonale. Mercoledì ha presentato una serie di misure per raggiungere l’obiettivo nei prossimi anni: il tempo dedicato all’educazione dei figli sarà conteggiato come tempo di lavoro e il salario adeguato di conseguenza; i posti a tempo pieno potranno essere occupati all’80-90%, in modo da conciliare meglio vita privata e attività professionale; verranno promossi telelavoro e orari flessibili; il congedo paternità passerà da 20 a 22 giorni; i salari più bassi (percepiti per il 70% da donne) saranno aumentati; le disparità salariali saranno individuate grazie ad analisi effettuate ogni 3-5 anni; e così via.

La démarche vodese – certo limitata al settore pubblico, ma degna di nota poiché comprensiva, ossia non incentrata sull’aspetto salariale – fa impallidire il progetto che lunedì giungerà sui banchi del Consiglio nazionale. Obbligo di analisi sulla parità salariale solo per le imprese con oltre 100 dipendenti (interessati sono lo 0,9% delle aziende e il 45% dei lavoratori), nessuna sanzione per chi non lo rispetta o non corre ai ripari, nessun’altra analisi se la prima indica che le cose sono a posto, e dopo 12 anni tutto finito: l’idea è semplicemente di identificare le differenze retributive tra uomo e donna che non trovano una spiegazione, nella speranza che le aziende vengano incentivate ad agire per concretizzare il principio – sancito dal 1981 nella Costituzione federale – del salario uguale per un lavoro di uguale valore.

Il progetto è “insopportabilmente moderato”, ha scritto tempo fa l’editorialista del ‘Tages-Anzeiger’. Anche in Parlamento in molti la pensano così. Eppure le resistenze sono forti: «È rivoltante ciò che sta avvenendo qui», sbotta parlando con la ‘Regione’ Isabelle Chevalley (Pvl/Vd), che afferma di essere «entrata in Parlamento come donna» ed è ora convinta che «ne uscirà femminista».

Progetto ridimensionato

Passo dopo passo, le modifiche della Legge federale sulla parità dei sessi presentate nel luglio del 2017 dalla ministra di Giustizia e polizia Simonetta Sommaruga hanno perso mordente. Hanno rischiato grosso agli Stati, dove una manciata di ‘senatori’ Ppd ha dato manforte a chi voleva prendere tempo rinviando il dossier in commissione. In seconda battuta, la Camera dei Cantoni lo scorso maggio ha sì approvato il progetto, ma ridimensionandone ulteriormente portata (l’obbligo di analisi varrà solo per le aziende con più di 100 dipendenti, anziché 50 come voleva il Consiglio federale), incisività (né liste nere, né sanzioni) e durata (12 anni).

Quel che ne è rimasto ha avuto poi vita dura nella commissione preparatoria del Nazionale. L’entrata in materia è stata approvata per 13 voti contro 11 e un’astensione; e nella votazione complessiva la proposta è passata solo grazie al voto decisivo della presidente della commissione, Christine Bulliard-Marbach.

L’esito del dibattito in agenda per lunedì pomeriggio nel plenum – dove la destra (Udc e Plr) dispone della maggioranza assoluta, 101 voti su 200 – è aperto. La sinistra voterà compatta a favore del progetto, cercando di apportarvi miglioramenti puntuali. Il Ppd ne ha fatto un dossier strategico: al massimo vi sarà qualche astensione. I Verdi-liberali dovrebbero votare tutti a favore. Nel Pbd, osserva la capogruppo Rosmarie Quadranti (Lu), almeno una grande maggioranza dei deputati resterà sulla linea degli Stati, seguita in toto dalla commissione del Nazionale. Nel gruppo Udc ci si può aspettare al massimo qualche isolata astensione. Ago della bilancia sarà dunque il Plr. Una metà circa delle donne liberali-radicali è pronta a votare ‘sì’; i loro voti, sommati a quelli di alcuni colleghi di partito (soprattutto ‘latini’), dovrebbero alla fine bastare a non far capottare il progetto. In ogni caso, alla fine nessuno farà salti di gioia.

 

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