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Excusatio non petita, accusatio manifesta

Fra allenatori che prendono a testate giocatori avversari, e ciclisti dilettanti dopatissimi, a meritare un Oscar non sarebbero soltanto attori e registi

12 marzo 2024
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Mi accingo a occuparmi dell’odierna rubrica con le occhiaie di chi ha tirato le quattro di notte per seguire la consegna degli Oscar, ed è proprio ispirandomi alla cerimonia hollywoodiana che riempirò questa colonna. L’idea, proprio come succede al Dolby Theatre, è di attribuire riconoscimenti a chi, negli ultimi giorni, si è particolarmente distinto in ambito sportivo. Ma siccome raccontare i fallimenti è spesso più interessante e divertente che dedicarsi ai successi, invece degli Oscar proverò ad assegnare l’equivalente dei Razzie Awards, cioè i trofei destinati a chi – nel mondo del cinema – è incappato in clamorosi flop.

La prima statuetta che consegno riguarderebbe la categoria commedia, se non fosse che – con certe pratiche – scherzare può rivelarsi davvero pericoloso per la salute, oltre che disonesto: siamo quindi, più propriamente, nell’ambito del tragicomico. Vincitori per acclamazione in questo campo sono i 130 ciclisti – dilettanti, eh - che giovedì scorso in Spagna nel corso di una gara, saputo che al traguardo sarebbero stati tutti sottoposti a un controllo antidoping, hanno deciso di ritirarsi dalla corsa dopo pochissimi chilometri sostenendo di essere incappati in forature, cadute e incidenti del tutto immaginari. Degli oltre 180 partecipanti, in pratica, a portare a termine la fatica sono stati soltanto una cinquantina. Tutti gli altri, strafatti peggio dei professionisti di trent’anni fa, hanno pensato bene di schivare l’oliva.

Capite ora perché qualcuno ha tutto l’interesse di proseguire nella ricerca attorno alle ‘bombe’ di ultima generazione? Il mercato è enorme, e non si basa certo sui pochi pedalatori per mestiere sparsi per il mondo: a tenere in piedi il business sono invece i milioni di amateur – di tutte le età – che ferocemente si danno battaglia incuranti dei limiti fissati dalla legge e dei gravissimi danni che il doping potrebbe arrecar loro a breve e lungo termine. Soldi per realizzare 130 trofei non ce ne sono, e dunque lascio che si scannino a vicenda per vedere chi saprà assicurarsi la sola statuetta esistente: del resto, pare abbiano energie da vendere.

Scelta facile pure per quanto attiene alla categoria dramma, che vede trionfare Roberto D’Aversa, l’ormai ex tecnico del Lecce di cui si narrano le prodezze nelle ‘brevi’ qui a fianco. Avesse sferrato la testata a Henry nell’ambito di un infuocato diverbio – magari infarcito di allusioni sulla condotta morale di madri e mogli – la sua condotta sarebbe stata certo non giustificabile, ma quantomeno comprensibile: la concitazione del momento avrebbe insomma costituito una (lieve) attenuante.

Il problema è che il comportamento scellerato del 48enne abruzzese nato in Germania non è stato figlio di un raptus. Le immagini mostrano infatti una evidente premeditazione: si dirige lentamente verso il suo bersaglio, senza perderlo d’occhio, proprio come fa il cattivo nei film di gangster, e poi va a colpirlo con grande precisione. Si tratta dunque di un atto razionalmente pianificato nei dettagli, il che costituisce evidentemente un’aggravante. E di certo non depone a favore di D’Aversa nemmeno il fatto che, dopo il fattaccio, abbia giurato – all’interno di un comunicato in cui formulava scuse di rito ma senza evidente pentimento – di essersi avvicinato al giocatore francese soltanto per discutere e di non averlo in nessun modo colpito, né con le mani né tantomeno con una craniata. Ma mi dico: fosse andata davvero così, non ci sarebbe stato alcun bisogno di chiedere perdono a nessuno, o no? Come dicevano nel Medioevo: excusatio non petita, accusatio manifesta.

Il fresco allenatore disoccupato si illude forse che al giorno d’oggi – con decine di telecamere e migliaia di smartphone puntati su ogni angolo del campo di gioco – sia davvero possibile che qualcosa possa sfuggire agli occhi elettronici, che tutto registrano e ogni cosa immortalano? Oltre che violento, disonesto e perdente (la sua squadra rischia infatti di retrocedere), il caro D’Aversa – immediatamente e giustamente silurato dal suo club – si è dimostrato anche piuttosto ingenuotto, per non dire cose più gravi sul conto della sua perspicacia.

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